Riforma pensioni, quota 41 per tutti insieme a quota 89 flessibile

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Difficile una riforma delle pensioni utile a superare una volta per tutte la riforma Fornero. Ormai, anche chi non è un addetto ai lavori sa benissimo che le difficoltà che ogni governo trova e troverà nel riformare il sistema pensionistico sono sempre le stesse. I fondi disponibili sono sempre pochi e non permettono miracoli, poiché le priorità sono altre.

L’Unione Europea vede male una riforma delle pensioni che conceda uscite molto anticipate dal lavoro. Questi sono i problemi principali e, pertanto, non ci sono soluzioni di facile predisposizione.

Tuttavia, va detto che potrebbero emergere un paio di misure che richiamano al passato, ma che, dotate dei giusti accorgimenti, potrebbero trovare posto nel sistema.

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In effetti, si tratta delle misure che la maggior parte dei lavoratori vorrebbe fossero varate. Molti nostri lettori, infatti, ci scrivono segnalando quelle che per loro sarebbero le soluzioni ideali per superare una volta per tutte la riforma Fornero. Tralasciando suggerimenti di misure mai immaginate, il più delle volte i lettori ci segnalano la bontà della pensione flessibile dai 64 agli 72 anni, come proposta dal CNEL, e anche la bontà della solita quota 41 per tutti.

Riforma pensioni, quota 41 per tutti insieme a quota 89 flessibile

In un sistema previdenziale basato sul metodo contributivo, ovvero dove più si versa di contributi, più soldi si prendono di pensione e viceversa, la flessibilità deve essere un fattore chiave. Le due misure che andremo a esaminare, analizzate per una ipotetica futura riforma delle pensioni, sono entrambe flessibili.

Innanzitutto, bisogna dire che, in genere, l’operato di un sistema previdenziale deve distinguere tra due diverse formule di pensionamento:

  1. Senza limiti di età al raggiungimento della giusta carriera contributiva.
  2. A partire da un determinato limite anagrafico, ma con una carriera contributiva nettamente più bassa rispetto alle pensioni senza limiti di età.

Parliamo di sistema contributivo, quindi anche le pensioni dovrebbero essere calcolate con questo metodo, che penalizza chi avrebbe diritto a un calcolo misto molto lungo, come chi ha più di 18 anni di versamenti già al 31 dicembre 1995.

Perché flessibilità significa poter scegliere tra una uscita e l’altra alla luce di vantaggi e svantaggi che devono necessariamente esistere. Infatti, se si eliminano vantaggi e svantaggi di una uscita anticipata dal lavoro, non si può parlare di flessibilità.

Ecco cosa succede nel sistema contributivo e perché servono misure flessibili

Nel sistema contributivo, uscire prima dal lavoro espone a diversi tagli di assegno fin dall’inizio. Se la pensione è tanto più alta quanto più contributi si versano, è evidente che interrompere una carriera significa non versare più e non aumentare la pensione. Inoltre, sempre nel sistema contributivo, più tardi si esce, più si prende di pensione.

Questo perché i coefficienti di trasformazione, che servono a convertire il montante dei contributi in pensione, sono più favorevoli a un’età maggiore rispetto a una minore. Ma, nonostante i tagli già evidenti, le nuove misure dovrebbero preverne altri. Uscire prima deve essere penalizzante per rendere una misura di pensionamento anticipato flessibile. Senza tagli di assegno, nessuno sarebbe propenso a restare al lavoro e troverebbe assolutamente conveniente l’uscita anticipata.

Ecco quindi che chi esce prima dal lavoro con le future misure di pensione anticipata deve accettare tagli di assegno. Che poi si adotti la regola del calcolo totalmente contributivo o la via del taglio lineare di assegno per anno di anticipo, poco importa: si parla sempre di tagli. Inoltre, diventano sempre più fattibili i bonus per chi resta al lavoro.

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In pratica, oltre ai tagli di pensione per chi esce prima dal lavoro, sulla bilancia dovrebbero essere considerati anche i vantaggi sullo stipendio di chi resta al lavoro. Un esperimento già utilizzato per la quota 103 e che nel 2025 sarà fruibile anche per le pensioni anticipate ordinarie.

La quota 41 per tutti nella nuova riforma delle pensioni

Una misura che trova favore in molti contribuenti è la quota 41 per tutti. Certo, la versione originale proposta dalla Lega, senza tagli e vincoli, sarebbe quella auspicabile dalla maggioranza. Ma, per quanto detto prima sui tagli necessari, anche la versione a ricalcolo contributivo trova ancora favore.

In pratica, la quota 41 per tutti sarebbe una misura assolutamente simile alle vecchie pensioni di anzianità, in vigore fino a quando la riforma Fornero le cancellò, sostituendole con le pensioni anticipate ordinarie. La possibilità di lasciare il lavoro a prescindere dall’età con 41 anni di versamenti, senza dover quindi raggiungere i 42,10 anni richiesti oggi per gli uomini e le pensioni anticipate ordinarie (41,10 per le donne), sarebbe la quota 41 per tutti, come lo erano le pensioni di anzianità con 40 anni di versamenti fino al 2011.

Per la quota 41 per tutti, però, le possibilità di introduzione sono collegate al fatto che sarebbe una misura esclusivamente a calcolo contributivo.

Una specie di pensione di vecchiaia flessibile ricca di particolarità

Se la quota 41 per tutti riguarda le pensioni prive dei requisiti anagrafici, ci sarebbe anche una novità che invece ha dei limiti di età. Nella fascia tra 64 e 72 anni, potrebbe essere utile una pensione flessibile con 25 anni di contributi. La misura l’ha proposta a suo tempo il pool di esperti del CNEL del Presidente Brunetta. In pratica, flessibilità già a partire da quota 89 (combinazione 64+25), ma con tagli di assegno, magari lineari, e con premi per chi resta al lavoro oltre i 67 anni di età uscendo dopo.

La misura potrebbe prevedere una soglia minima di trattamento per evitare che vengano erogate pensioni troppo basse per consentire una vita dignitosa, magari fissando il limite a 1,5 volte l’assegno sociale.

La nostalgia del passato la fa da padrona sulle pensioni e sulla nuova riforma

Inutile dire che, alla luce di ciò che i lavoratori vorrebbero e chiedono, la nostalgia delle vecchie regole è evidente.

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Parlando di quota 41 per tutti e di questa ipotetica quota 89, non si farebbe altro che tornare alle vecchie regole. Anche se diversamente dal punto di vista delle uscite e soprattutto dei tagli di assegno.

Abbiamo già parlato delle vecchie pensioni di anzianità, che senza limiti di età consentivano il pensionamento con 40 anni di contributi. La quota 41 per tutti sarebbe più o meno la stessa cosa, anche se con un anno in più di versamenti necessari. All’epoca, alternativa alla pensione di anzianità era la quota 96, che permetteva il pensionamento a partire dai 60 anni con 35 anni di contributi. Con il cambio dei tempi, la nuova quota 89 potrebbe essere lecita.

L’aumento della vita media della popolazione non consente certo di tornare alle uscite a 60 anni, visto che si vive più a lungo oggi. Ecco quindi che partire dai 64 anni non sarebbe così male. Inoltre, con le difficoltà a trovare lavori costanti e duraturi oggi, scendere da 35 anni di versamenti a 25 come soglia utile per uscire prima non è una cosa sbagliata da ipotizzare.



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