Due capitali baltiche, l’estone Tallin e la lettone Riga, si contendono la primogenitura dell’albero di Natale. Riga addirittura la rivendica con una lapide in otto lingue, apposta nel 2010, nella sua piazza centrale con scritto: “”Il primo albero di Natale al mondo fu allestito qui nel 1510 dalla Confraternita delle Teste Nere”. Non è dato di sapere che albero fosse né se fosse addobbato, racconti vogliono che sia stato portato sulla piazza dai membri Confraternita delle teste Nere, una corporazione di mercanti celibi, armatori, stranieri, presente in Lettonia e in Estonia, e che alla fine l’albero venisse bruciato.
A Tallin si sostiene di essere arrivati per primi con una data di oltre mezzo secolo anteriore: il 1441 quando il primo abete sarebbe stato allestito nella piazza del Municipio dalla loro Confraternita delle Teste Nere, edificio storico della città, ma la documentazione a sostegno è vaga e di controversa interpretazione, per stessa ammissione degli storici estoni.
Un’altra data riporterebbe indietro al 1419 a Friburgo dove i panettieri della città decorarono un albero appendendoci pan di zenzero, frutta e nocciole, mentre a Brema si tramanda il racconto di un piccolo albero, con appesi mele, noci, datteri e fiori di carta, nel luogo di incontro degli uomini d’affari della città.
Ma è a Sélestat (foto), in Alsazia, oggi francese, che si trova la prima traccia documentale scritta che rimanda alla tradizione dell’albero di Natale. Si tratta di una nota conservata dall’Archivio comunale data 1521 in cui si legge: «4 scellini, per chiamare i guardaboschi di Meygen nel giorno di San Tommaso», contiene l’indicazione di un compenso pagato e gli storici locali ritengono che l’interpretazione sia chiara, o almeno così sostiene la mostra che, fino al 29 dicembre, espone il documento alla Bibliothèque Humaniste della cittadina: «Se la città di Sélestat deve così proteggere la sua foresta pianificando una simile spesa – dicono -, si può supporre che il fatto di decorare un albero (e non più un ramo ) in questo periodo dell’anno fosse relativamente comune e facesse parte delle usanze».
Alberi sacri dall’Eden in poi
Sarebbe dunque l’antenato dell’attuale albero di Natale riconducibile a usanze tedesche del XV secolo, ma a tramandarlo sono racconti nei quali è spesso difficile distinguere storia e leggenda. Da una parte perché, da quando a partire dal XIX secolo l’abete decorato si è diffuso associato alle feste natalizie e di Capodanno pressoché in tutto il mondo, è forte la tentazione di autoaccreditarsi a posteriori come inventori di una tradizione tanto fortunata, che porta turismo. Dall’altra perché è un dato di fatto che l’albero in quanto tale sia presente nella maggior parte delle culture antiche come simbolo di vita, emblema del ciclo della natura o dell’origine dell’universo, in quest’ultimo caso rappresentato a testa in giù.
Non a caso ci sono alberi più o meno sacri in tutte le civiltà antiche: dal frassino cosmico nordico, all’albero dell’Universo cinese. Il Buddha secondo la tradizione riceve l’illuminazione sotto un ficus, lo stesso racconto della Genesi nella Bibbia ha al centro l’albero della vita e l’albero della conoscenza. Dalla notte dei tempi culture diverse associano usanze con alberi collegate al solstizio d’inverno, come osserva Caroline M. Cusack docente di Storia delle religioni all’Università di Sydney in The sacred tree, ancient and medieval manifestations, perché «simboleggiavano la vittoria della vita e della luce sulla morte e l’oscurità».
Come spesso accade le tradizioni più antiche e radicate sopravvivono, in parte, nei mutamenti della storia, assumendo nuovi significati, acquisendo nuove riletture, senza tradursi necessariamente in manifestazioni iconoclastiche.
Anche i Romani durante le feste dei Saturnali, che cadevano nella seconda metà di dicembre, usavano appendere alloro e lumi alle finestre e scambiarsi, auguri e regali, oltreché concedersi licenziosità che hanno dato vita al detto semel in anno licet insanire (una volta l’anno è lecito perdere il senno ndr.) e libertà impensabili nel resto dell’anno come per esempio abolire le differenze sociali e la cesura tra liberi e schiavi. È possibile che il nostro vischio e le nostre candele natalizie nonché l’usanza di auguri e regali si siano tramandate anche a partire da lì, senza che questo abbia significato importare nelle feste natalizie altre licenze degne dei Saturnali, salvo strappi alla regola a tavola.
Altrettanto è verosimile che il lato sfrenato dei Saturnali abbia lasciato qualcosa in eredità a quello che per noi è il Carnevale. Come del resto è vero che le leggende collegate ai doni di Santa Lucia e della Befana, hanno radici in culti rurali precristiani, che poi hanno trovato una lettura cristiana.
medioevo tra notte santa e peccato originale
È probabile che qualcosa di simile sia accaduto alla simbologia dell’albero, anche se non in modo diretto, cosa che secondo Oscar Cullmann, teologo luterano, che presenziò osservatore al Concilio Vaticano libera l’albero dal sospetto di paganesimo: «Se oggi interroghiamo un cristiano o un non cristiano sull’origine dell’albero di Natale, nella stragrande maggioranza dei casi riceviamo la risposta che si tratta di un’antica usanza pagana. In effetti tale spiegazione non è del tutto errata. Tuttavia essa non rende giustizia alla situazione di fatto, poiché è vera solo in uno stadio iniziale, non per l’attuale abete decorato», scrive , in All’origine della festa del Natale, spiegando che «Solo la primissima forma cristiana è in rapporto con i riti pagani: da un lato col primordiale culto degli alberi, dall’altro con l’antica celebrazione del solstizio d’inverno».
Tuttavia chiarisce: «II significato cristiano dell’albero di Natale non va fatto derivare dal solstizio d’inverno, che certo è anch’esso in questione, ma solo indirettamente. Esso ha un’origine propria e risale a una tradizione medievale e al suo significato religioso: le rappresentazioni dei “misteri”, che nella Santa Notte mettevano in scena davanti al portale delle chiese e delle cattedrali la storia del peccato originale nel paradiso terrestre (foto, bassorilievo medievale). Esse sono la vera culla del nostro albero di Natale con la sua decorazione simbolica», che rimanda al peccato «dell’uomo viene espiato nella notte del 24 dicembre dall’ingresso di Cristo nel mondo».
Di quella concezione teologica risalente al medioevo è testimone il medaglione dell’albero della vita e della morte dipinto da Berthold Furtmeyr, tra le miniature del monumentale messale di Salisburgo, 1489. Secondo alcuni proprio questa iconografia, che raffigura sul lato destro Eva che coglie dell’albero una delle mele e sul lato sinistro Maria, che sotto la croce di Gesù allo stesso attinge ostie per comunicare fedeli inginocchiati di sotto, sarebbe all’origine delle decorazioni dell’albero di Natale.
LE LEGGENDE CRISTIANE NATE ATTORNO ALL’ALBERO
In attesa che la fantasia trasformasse le mele e i biscotti dei primi ornamenti nelle moderne decorazioni nel Cinquecento di là da venire – le palline in vetro soffiato sono, che si sappia, un’invenzione ottocentesca dei maestri vetrai dell’Alsazia della Turingia – attorno all’albero via via sempre più di Natale sono sorte diverse leggende, per lo più a sfondo cristiano: una del Nord vuole che sia stato Martin Lutero a “inventarlo” in Germania illuminando un abete con delle candele.
Un’altra vuole che un bambino infreddolito sia stato accolto e accudito nella casa di una guardia forestale la notte di Natale e che al mattino, rivelatosi Gesù Bambino, sia uscito a spezzare un ramo d’abete per portarlo in segno di ringraziamento alla generosa famiglia: si dice che in memoria di quello sia nata la tradizione di un albero decorato in ogni casa.
La più diffusa e ricca di particolari è certo quella che associa l’invenzione dell’albero di Natale a San Bonifacio di Crediton, predicatore cristiano giunto in Germania nell’VIII scolo per fare proselitismo presso le tribù tedesche pagane. Tradizione vuole che sia arrivato mentre erano sul punto di sacrificare un ragazzo davanti a una quercia sacra a Thor e che d’impeto abbia tagliato la quercia, vedendo spuntare miracolosamente dal ceppo un giovane abete, che i seguaci del santo illuminarono con le candele per favorirne la predicazione.
SAN BONIFACIO, LA QUERCIA DI THOR E LA “TRANSIZIONE MORBIDA” DI GREGORIO I, IL PAPA MISSIONARIO
Quest’ultima storia, certo la più popolare, si è diffusa in particolare grazie alla fortuna dei racconti di Natale Henry Van Dyke, laureato in Teologia a Princeton e poi docente di Letteratura inglese nella stessa università, noto soprattutto per testi di popolari inni religiosi, su tutti Joyful, Joyful We Adore Thee, sulla melodia dell’inno alla gioia. Dei racconti, pubblicati negli Stati Uniti nel 1897, fa parte Il primo albero di albero di Natale, dedicato proprio alla leggenda di San Bonifacio, che spesso dà il titolo alla raccolta tradotta in tutto il mondo e continuamente ristampata come strenna natalizia.
La fonte storica in realtà non parla di abeti: «Quando con la forza del suo cuore saldo ebbe tagliato la parte inferiore», si legge nella Vita Bonifatii auctore Willibaldo, VIII secolo, «era presente una grande moltitudine di pagani, che nelle loro anime maledicevano ardentemente il nemico dei loro dei. Ma quando il lato anteriore dell’albero fu intaccato solo un po’, all’improvviso l’enorme mole della quercia, spinta da una folata dall’alto, si schiantò al suolo, facendo tremare la sua corona di rami mentre cadeva; e, come per gentile compenso dell’Altissimo, si spezzò anch’essa in quattro parti, e si videro quattro tronchi di enormi dimensioni, di uguale lunghezza, non sminuzzati dai fratelli che stavano lì. A questa vista i pagani, che prima avevano maledetto, ora, al contrario, credettero, benedissero il Signore e abbandonarono il loro precedente vilipendio. Inoltre il santissimo vescovo, dopo essersi consultato con i fratelli, costruì con il legno dell’albero un oratorio di legno e lo dedicò a san Pietro apostolo».
Ma la leggenda secondo cui il primo abete, poi albero di Natale, abbia radici nell’abbattimento di san Bonifacio scaturisce comunque da quel ceppo anche se per altre vie popolari successive e trova spiegazione nel contesto ricostruito da Carole M. Cusack nel saggio Sacred Groves and holy trees,(Boschi e alberi sacri ndr), 1998,secondo cui: «Questo uso del legname della quercia sacra per costruire una chiesa era accettato nella cristianità». Per questioni storiche e strategiche.
«Nel Medioevo i cristiani convertiti celtici e germanici erano riluttanti all’abbandono dei loro alberi sacri, e c’era grande evidenza del fatto che a livello di pietà popolare e di folklore molte pratiche pagane continuavano incontrollate. Carlomagno emanò un atto noto come Capitulatio de partibus Saxoniae tra il 755 e il 790 d.C. che parla di pene severe per chi continui il culto di alberi e pozzi nella Sassonia conquistata. Tuttavia, secondo Adamo di Brema, cronista dell’Arcidiocesi, l’Arcivescovo Unwan di Amburgo stava ancora combattendo il culto degli alberi nell’XI secolo, e costruì la Basilica di San Vito sul sito di un bosco sacro, con l’intento di fare come San Patrizio (che usò in Irlanda il simbolo trifoglio, simbolo d’Irlanda, per spiegare agli Irlandesi la Trinità ndr.), per appropriarsi della sacralità della vecchia religione per la nuova. Questa appropriazione era stata approvata dal grande evangelizzatore papa Gregorio I».
E cita a proposito una lettera del 601 di Gregorio I a Mellitus missionario in Inghilterra, in cui lo invitava a procedere distruggendo solo gli idoli dei culti pagani, ma salvando i templi e le feste, riconsacrandoli alla religione cristiana spiegando: «Le popolazioni, vedendo che i loro templi non sono stati distrutti, liberandosi dall’errore riconosceranno e adoreranno il vero Dio accorrendo in massa nel luoghi in cui erano soliti raccogliersi».
Senza dubbio», chiosa Cusack, papa Gregorio «non intendeva legittimare la mescolanza tra le dottrine delle due religioni, ma solo che gli aspetti esteriori potessero essere utilizzati per facilitare una transizione morbida».
ALBERO E PRESEPIO INSIEME IN PIAZZA SAN PIETRO DAL 1982
Il Cardinale Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, forse non a caso cresciuto in Baviera, nel 1978 così scriveva: «Quasi tutte le usanze prenatalizie hanno la loro radice in parole della Sacra Scrittura. Il popolo dei credenti ha, per così dire, tradotto la Scrittura in qualcosa di visibile… Gli alberi adorni del tempo di Natale non sono altro che il tentativo di tradurre in atto queste parole: il Signore è presente, così sapevano e credevano i nostri antenati; perciò gli alberi gli devono andare incontro, inchinarsi davanti a lui, diventare una lode per il loro Signore».
Per tutto quanto ricostruito fin qui sarebbe arduo, e forse una forzatura, dividere in modo netto, con l’ascia di san Bonifacio, il presepio cristiano dall’albero, laico o pagano. E infatti coabitano serenamente non solo nelle case ma pure in piazza san Pietro fin dal 1982, quando a volerli entrambi fu Papa Giovanni Paolo II. Luigi Accattoli, il 27 dicembre di quell’anno, sul Corriere della sera, prevenendo le domande dei lettori sull’eventuale contrapposizione albero/presepe, laico/religioso, protestante/cattolico spiegava «Questo non vale in Polonia, dove albero e presepio vanno pacificamente insieme, da sempre. Ambedue vengono costruiti in ogni casa, e attorno ad essi il capofamiglia, prima della cena della vigilia, legge il racconto evangelico della nascita di Gesù e spezza l’Oplatek, la grande ostia quadrata di pane bianco, simbolo della fratellanza. Appaiati, presepio e albero, imparò a conoscerli il ragazzo Wojitila e insieme li ha voluti in Piazza San Pietro». Da allora ogni anno donati da un luogo diverso presepe e albero celebrano insieme la nascita del Salvatore sulla Piazza, sotto l’obelisco.
L’ABETE DECORATO NELLE DIMORE NOBILIARI DELL’EUROPA IN ETà MODERNA
Nella sua concezione moderna, l’albero di Natale casalingo sarebbe stato creato quasi casualmente da una nobildonna tedesca nel 1611, desiderosa di illuminare un angolo vuoto della casa, la duchessa di Brieg.
Un inequivocabile albero di Natale – il primo attestato nella storia della letteratura a quanto pare, ma non ancora un abete – fa capolino tra I dolori del giovane Werther di Goethe: «Andò la sera da Carlotta, e la trovò sola. Era occupata a mettere in ordine dei giocattoli che aveva destinato ai fratellini come doni di Natale. Egli parlò del piacere che avrebbero goduto i bambini, e del momento in cui all’inaspettata apertura di una porta sarebbe apparso l’alloro illuminato, ornato di dolci e di mele, facendo provare ai fanciulli gioie paradisiache».
Nel 2007 in una mostra sul tema al Museo delle culture di Basilea è stata esposta la ricostruzione di un bosso decorato del tardo XVII secolo, realizzata sulla base della descrizione della duchessa di Orléans, che aveva vissuto alla corte di Luigi XIV ed era rimasta affascinata dall’usanza introdotta dall’ambasciatore prussiano nella capitale francese.
Secondo Dominik Wunderlin curatore della mostra nelle sue lettere, la duchessa è la prima testimone a menzionare la presenza di candele sull’albero di Natale. Per arrivare alle lucine elettriche bisognerà arrivare al 1882 quando Edward H. Johnson – socio di Thomas Edison – a New York il 22 dicembre realizzò per la sua casa un albero cablato a mano con ottanta lampadine a incandescenza.
Dall’Ottocento l’esempio delle teste coronate e delle istituzioni pubbliche
Intanto la tradizione dell’albero si era diffusa tra le famiglie nobili d’Europa nel corso del XIX secolo, a decretarne il successo erano state anche le teste coronate: se la prima era stata nel 1800, la regina Charlotte, tedesca di nascita a volere il primo abete a Queen’s Lodge (Windsor) senza destare particolari entusiasmi, fu invece la regina Vittoria, sposa di Alberto di Sassonia-Coburgo, a contribuire alla diffusione della tradizione centro europee, rendendo l’albero di Natale un fatto pubblico. Un’incisione del 1848 che mostra la famiglia reale raccolta attorno all’albero – tradizione che perdura – ha certo influenzato, nei i Paesi anglosassoni, un successo mai sopito che rende soprattutto il Nord America patria dei più sfarzosi allestimenti natalizi e delle decorazioni, create dando libero sfogo alla fantasia senza limiti di gusto, talvolta anche dubbio, ma che non impedisce di includere simboli cristiani: tra gli addobbi c’è davvero di tutto un po’, compreso un tripudio di stelline, angioletti, piccoli presepi, bambinelli da legare ai rami. Normale in Canada e negli Stati uniti incontrare vetrine di palline, annessi e connessi, monotematiche e aperte tutto l’anno. Di lì nel corso del Novecento l’albero di Natale si è diffuso in tutto il mondo anche in Paesi di tradizioni del tutto diverse che non celebrano il Natale cristiano.
In Italia il primo albero di Natale decorato alla maniera contemporanea sarebbe stato allestito in una scuola evangelica maschile di Torino nel 1855, probabilmente valdese. È noto, infatti, che a Torino fosse presente un istituto pubblico valdese aperto nel 1852, che funzionava per maschi e femmine come scuola d’infanzia ed elementare e che aveva un corso superiore per 10-12enni maschi.
Perché diventasse un’abitudine condivisa nelle case italiane c’è voluto del tempo e si è dovuto attendere il Novecento. Si ritiene che alla diffusione abbia molto contribuito anche in Italia l’iniziativa della regina Margherita che ne ha allestito uno al Quirinale nel 1898.
La tradizione dell’albero di Natale al Quirinale è sopravvissuta alla caduta della monarchia e rimasta viva nella Repubblica: nel 2024 ne sono stati preparati due, giunti in dono dalla Comunità Montana della Valle Seriana (Bergamo), uno si trova al centro della Vetrata (foto), l’altro nella Tenuta di Castelporziano.
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