Gli operatori sanitari della comunità, definiti Community Health Workers (Chw), sono una importante risorsa e contano nell’universo sanitario assistenziale globale a tal punto che possono diventare strumenti di copertura sanitaria universale. È quanto sostengono gli autori di un articolo pubblicato su The Lancet in occasione della Giornata Mondiale della Universal Health Coverage che si celebra il 12 dicembre. Misurando la disponibilità globale di risorse umane per la salute, emerge che mancano nel mondo 43 milioni di operatori sanitari e che oltre la metà della popolazione mondiale risulta ancora senza un accesso adeguato ai servizi sanitari essenziali. Di fronte a questo panorama gli esperti hanno individuato nei milioni di operatori sanitari della comunità che esercitano nel mondo i promotori di una maggiore copertura.
Chi sono i Community Health Workers
Si tratta di professionisti, esperti e fidati, che forniscono assistenza porta a porta, mettendo a contatto le persone con le strutture ed offrendo supporto sociale.
La loro azione estende la portata dei sistemi di assistenza sanitaria primaria a comunità emarginate altrimenti sottoservite o non servite dai sistemi sanitari formali, affrontando così le limitazioni nell’accesso e assicurando che i pazienti ricevano cure semplici ed economiche, comprese quelle preventive ed interventi basati sull’evidenza nelle loro comunità di appartenenza.
Si tratta tuttavia di professionisti che spesso operano al di fuori dei sistemi formali, la maggior parte dei quali senza equipaggiamento adeguato e con una formazione insufficiente. A differenza dei professionisti integrati nel sistema sanitario – che sono stipendiati, qualificati, supervisionati e riforniti – questi operatori sanitari risultano sottofinanziati e sottovalutati da politiche sanitarie che ne hanno limitato fortemente a crescita salariale.
Lavorano inoltre in condizioni indegne e pericolose affrontando carenze di forniture molto più spesso del personale assunto nelle strutture sanitarie. Sono trattati come dilettanti a tal punto che le loro prestazioni ne risentono e le comunità pagano il prezzo di questa scarsa considerazione.
Tale condizione lavorativa limita fortemente il loro impatto, oltre a danneggiare il loro benessere. Eppure, questi professionisti hanno dimostrato per decenni la loro capacità di salvare vite, migliorare la resilienza dei pazienti e supportare economie sane.
Gli esperti ritengono che integrare tali professionisti nei sistemi sanitari potrebbe essere pertanto conveniente e sufficientemente fattibile per trasformare i sistemi sanitari di tutto il mondo allo scopo di raggiungere quell’assistenza sanitaria universale che rappresenta uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
È stato dimostrato infatti che questi professionisti hanno un grande impatto nel migliorare sostanzialmente i risultati sanitari e l’accesso equo su larga scala. Essi sanno affrontare efficacemente le esigenze di salute produttiva, materna, neonatale ed infantile nonché le malattie infettive e non trasmissibili.
Riducono inoltre costantemente i decessi tra i neonati e i bambini di età inferiore ai 5 anni ed hanno ottenuto significative riduzioni nei tassi di mortalità nei paesi a basso e medio reddito, paragonabili a quelli nei paesi ad alto reddito. Gli esperti hanno stimato che se tali professionisti fossero aumentati nei paesi con i più alti carichi di malattia, potrebbe essere evitato ogni anno circa il 47% dei decessi tra i bambini di età inferiore ai 5 anni.
Risulta che essi sono più efficaci laddove sono più necessari. Forniscono cure essenziali in comunità difficili da raggiungere e che dispongono di strutture sanitarie inadeguate, contribuendo così a migliorare l’accesso alle cure. Garantiscono la continuità dei servizi sanitari essenziali durante le pandemie, forniscono preparazione alle emergenze e risposta alle sfide climatiche e sanitarie e riducono altresì la mortalità infantile nelle aree colpite da conflitti armati.
Oltre ai benefici per la salute e l’accesso alle cure, l’integrazione di questi professionisti nei sistemi sanitari è conveniente anche sotto il profilo economico in quanto i servizi da loro guidati riducono i costi per i pazienti e per i sistemi sanitari, stimolano la crescita economica attraverso il miglioramento della salute e l’aumento dell’occupazione, generando persino rendimenti.
Tale integrazione risulterebbe altresì semplice, come risulta dalle politiche di 40 paesi in ogni regione dell’Oms che hanno già istituito una forza lavoro composta da questi professionisti, stipendiata ed accreditata, utilizzando quadri normativi globali comprovati (proCHW Policy Dashboard). Casi di studio transnazionali dimostrano che tali riforme sono fattibili e realizzabili ma occorre coltivare la volontà politica attraverso decise azioni di governo.
Di fronte a crisi economiche, instabilità politica, cambiamenti climatici, conflitti armati e rischi di pandemia, investire sugli operatori sanitari delle comunità rappresenta pertanto una decisione strategica, poiché le evidenze hanno dimostrato quanto in un contesto di policrisi essi sappiano fornire risultati ad alto impatto e convenienti, anche nei periodi più difficili.
Questa implementazione rappresenta quindi un’occasione per rafforzare i sistemi sanitari per le generazioni future, rendendoli più sostenibili. Secondo l’Oms la copertura sanitaria universale rimarrà irraggiungibile fintanto che i governi non investiranno adeguatamente nella protezione delle persone, soprattutto delle più vulnerabili colpite dall’impoverimento della spesa sanitaria.
Occorre mettere in atto misure di protezione finanziaria che garantiscano che le persone non cadano in povertà a causa del pagamento di tasca propria delle spese sanitarie da sostenere per curarsi o prendersi cura della propria salute sin dalla prevenzione. Popolazioni più sane, creano comunità più resilienti, produttive, pacifiche e prospere
, ammonisce l’Oms denunciando che tale protezione si è andata invece progressivamente deteriorando negli ultimi 20 anni.
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