“Una fonte di acqua calda da recuperare”

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Quella dell’Emilia-Romagna, in particolare di Parma e provincia, è una zona da sempre caratterizzata da diversi stabilimenti termali anche molto rinomati, come Monticelli Terme, Salsomaggiore Terme, Sant’Andrea Bagni; ognuno di questi luoghi ha un vissuto storico molto interessante, che in alcuni casi ha comportato la chiusura, nel corso del tempo, delle terme, ma quello che colpisce è proprio il loro continuo “divenire” e soprattutto, in alcuni casi, anche la rigenerazione che ne viene fatta.

A tal proposito, abbiamo deciso di approfondire meglio proprio quest’ultimo aspetto, intervistando i due architetti fautori del nuovo progetto delle terme di Miano di Corniglio, Giulia D’Ambrosio e Francesco Fulvi.

Una piccola presentazione

Giulia D’Ambrosio, architetto, il suo focus primario sta nella progettazione ambientale sostenibile, che punti soprattutto a permettere in qualche modo al territorio e alla popolazione di abbracciarsi: obiettivo principale dei progetti dell’architetto è proprio quello di contribuire a creare un’identità comune a persone e luoghi fisici, lavorando soprattutto sulla creazione dell’”empatia urbana”.

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D’altra parte, Giulia è Presidente dell’Associazione Culturale Manifattura Urbana e lavora a stretto contatto con Francesco Fulvi, ingegnere edile e architetto, che ha affiancato la collega proprio nella presentazione del progetto delle nuove terme di Corniglio. Anche l’ingegnere ha messo al centro del suo operato l’idea di socialità e soprattutto il recupero dei monumenti culturalmente e storicamente importanti, apportandovi innovazioni tecnologiche basate in particolare su quel piano di architettura sostenibile che entrambi promuovono energicamente.

Lo scorso 30 novembre avete presentato il nuovo progetto delle terme di Miano di Corniglio. Quali sono le idee di riqualificazione?

L’idea è quella di recuperare, dove possibile, il vecchio fabbricato in pietra, utilizzare la fonte di acqua calda oggi presente, perché, in realtà, quello delle “terme” è un appellativo che viene dato in modo evocativo, ma di fatto non c’è nessun documento che accerta che quelle siano delle acque termali ad oggi. Sono acque calde, usate dalla tradizione dei cittadini anche in modo depurativo, nel senso che loro testimoniano di essere riusciti a curare psoriasi o malattie di questo tipo, però non c’è alcuna analisi o documento che oggi lo accerti.

Principalmente si vuole riutilizzare questa fonte naturale che c’è di acqua calda, ripristinare le antiche docce, che erano i bagni pubblici del territorio, e ampliare con un minimo di comfort e di strutture accessorie quest’attività principale: nuovi spogliatoi, piuttosto che vasche, docce, dove poter fare idromassaggio, oppure altre attività similari tipiche di un centro benessere insomma. Tutto molto misurato e proporzionato a quello che è l’insediamento oggi e al luogo, quindi non parliamo di terme enormi né di grandi impianti ma di una sorta di piccolo gioiellino della natura inserito in un contesto naturale molto verde; viene aggiunto, poi, a queste funzioni principali un piccolo punto ristoro a supporto dell’attività della struttura.

Però tutto è molto piccolo e calibrato, quindi l’azione primaria sarà quella del ripristino: oggi ci sono due edifici, uno in pietra, che si vuole appunto recuperare, l’altro invece in muratura forata, che probabilmente verrà demolito e ricostruito, a seguito di ulteriori indagini. Quindi teniamo l’edificio in sasso, che è quello che ha più valore storico e testimoniale, e sostituiamo l’altro edificio, che è in cattive condizioni e ha “meno valore”.

La frazione di Miano, che fa dunque parte del comune di Corniglio, è caratterizzata dai cosiddetti “fuochi di ligna”, queste manifestazioni superficiali di gas metano che hanno fatto acquisire alla zona l’appellativo di “sorgente termale”. Quanto potenziale potrebbero avere, quindi, secondo voi le future terme di Miano?

Molto potenziale. Diciamo che la stessa fonte è stata scoperta perché cercavano del gas metano, quindi ha lo stesso tipo di origine. Il potenziale è molto, poi si tratta sempre di capire che tipo di sviluppo il territorio può permettersi, e qui servono delle indagini geologiche più approfondite.

Interviene, a questo punto, anche l’ingegnere Fulvi: dal punto di vista del ritorno sul territorio, beh noi ci aspettiamo grandissimi risultati. Abbiamo toccato con mano, nei vari incontri pubblici, che è un bene di interesse storico-testimoniale: tutti lo frequentavano da piccoli, tutti hanno un bellissimo ricordo, e tutti non vedono l’ora che venga ripristinato, praticamente di tutte le età. In più, ci aspettiamo anche, come si aspetta buona parte di loro, un ritorno dal punto di vista turistico, perché chiunque potrà poi appositamente andare lì a visitare queste docce, queste vasche, e poi scoprire il territorio, fermarsi a cena, acquistare casa. Diciamo che questa zona del nostro appennino è “sotto conosciuta”, quindi secondo noi, se il progetto partirà, sarà un volano enorme: un modo, un motivo in più fortissimo per partire anche da Parma e andarci.

Giulia, lei è un architetto, e in particolare risulta molto interessante la sua linea d’azione sulla progettazione ambientale sostenibile, che ha come obiettivo principale quello della “collaborazione” tra persone e luoghi. Ecco, vuole spiegarci meglio quanto sia importante, per la realizzazione di uno spazio che poi sarà destinato ad un utilizzo collettivo, la comunicazione con i cittadini? E soprattutto, avendo notato che spesso questa espressione riecheggia nei suoi progetti, cosa intende per “empatia urbana”?

Da anni ormai si parla di “rigenerazione urbana”. Questo progetto nasce dalla volontà di un territorio di, in qualche modo, “rinascere”, ma coglie anche l’occasione di questo bando della regione di rigenerazione urbana, che tra gli obiettivi principali ha quello di innescare volani per un territorio che non siano soltanto economici, ma anche di impatto sociale e ambientale. Questo cosa vuol dire? Vuol dire ascoltare quello che il territorio ha da raccontare, quindi partire da un’analisi molto approfondita, su largo spettro, che tocca tantissimi ambiti, per poi riuscire a cogliere, da un lato quelli che sono i bisogni e le necessità del territorio, dall’altro i suoi punti di forza e le opportunità che offre. Quindi, mettendo insieme tutti questi elementi, un progetto diventa “empatico” perché diventa davvero in ascolto e in stretta relazione con quello che un territorio racconta: sia per le sue criticità che per le sue opportunità.

Questo è l’approccio che io e Francesco abbiamo un po’ in tutti i progetti; quindi, ci interessava non soltanto costruire un progetto architettonico che fosse sostenibile da un punto di vista ambientale, ma che fosse anche utile alle esigenze non solo di possibili turisti, ma dei cittadini e di chi abita i luoghi nella quotidianità. Questo progetto ha l’aspirazione di soddisfare le esigenze che gli abitanti della vallata hanno: avere un luogo della quotidianità dove andare, dove avere un centro benessere, e perché no, anche uno spazio co-working, uno spazio per fare incontri e riunioni tra gruppi formali e informali, ma anche trovare magari una piccola palestra o altri tipi di attività a struttura-supporto di quella che è la vita, per renderla migliore e anche per spingere al ripopolamento dei luoghi montani che negli ultimi anni hanno subito questo importante fenomeno. Sono quei piccoli servizi e strutture che migliorano nel quotidiano la vita delle persone, e questo vale nelle città ma vale anche nei comuni montani.

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Tornando nello specifico sul progetto Terme di Miano, abbiamo visto che l’incontro tenuto a novembre ha avuto come principio cardine anche quello di coinvolgere l’intera cittadinanza e di ascoltarne le idee per poi magari applicarle nel progetto. Quanto avete ritenuto efficace, su un piano pratico, la collaborazione dei cittadini in un progetto del genere?

E’ stata fondamentale, nel senso che noi siamo partiti da lì e abbiamo usato gli strumenti che loro ci hanno indicato sia in quell’incontro pubblico che lei cita, ma anche in altri incontri più privati, allestiti in riunioni di altri ambiti, dove abbiamo proprio ascoltato il territorio, quindi questa richiesta di volere le terme e riavere le docce attive, ma di avere anche questi spazi appunto di comodità: una piccola palestra, o attività dove fare yoga, spazi per l’attività all’aperto, spazi flessibili, un punto ristoro, quindi in realtà tutto il progetto raccoglie esigenze e richieste ben precise.

Per concludere, geograficamente parlando, Miano è un piccolo borgo medievale che fa parte del comune di Corniglio, circondato da monti appenninici e laghi. Quanto sarà importante dare vita, in un territorio non particolarmente denso a livello di abitanti, ad uno spazio soprattutto “innovativo” come questo? Secondo voi potrà contribuire alla ripopolazione del territorio montano?

Assolutamente sì, perché crea strutture e servizi che aiutano proprio il vivere dei comuni montani, è il punto fondamentale e principale che può innescare questo tipo di processo. Nel senso che, se io ho servizi che, ad esempio, mi permettono di lavorare magari anche a distanza attraverso lo smart working, oppure ho servizi che mi permettono di soddisfare tutti i bisogni che ho nella quotidianità come singolo, come famiglia, allora è ovvio che, in un momento come questo, di città molto inquinate, piene di traffico e molto costose, la montagna e la natura diventano molto appetibili; quindi, non più solo un sogno lontano, ma possono diventare delle situazioni concrete in cui fare anche degli investimenti e immaginare di poter vivere davvero. Non solo il sogno del “mi piacerebbe vivere in montagna”; se io ho dei servizi minimi che mi permettono di non modificare troppo le attività del mio quotidiano, soprattutto quelle che mi danno sostentamento, allora posso trarne molti benefici.

Conclude, poi, l’ingegnere Fulvi: l’idea è quella di mettere a sistema questo oggetto che ritorna a vivere, come ha detto Giulia prima, con tutta una serie di servizi, di attività, dalle biciclette, ai cavalli, a momenti ricreativi per i bambini e per gli anziani. Quindi dev’essere, appunto, un volano per concentrare altre attività, e questo aiuterà ancora di più a rivitalizzare quella zona. L’idea è stata quella di recuperare le terme, ma il bando chiedeva anche di ampliare l’offerta, di far diventare quest’oggetto un catalizzatore in qualche modo, e confrontandoci con i cittadini abbiamo capito cosa meglio proporre, perché la rigenerazione, come diciamo sempre, si fa proprio con le persone, altrimenti sarebbe ristrutturazione.

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