Convenzione di Lugano e giurisdizione applicabile alla controversia relativa alle sottoscrizioni di strumenti finanziari da parte di investitore italiano in favore di istituti di credito svizzeri
Cass. Sez. Unite 08/07/2024 n° 18636
La pronuncia in commento costituisce un’interessante statuizione del massimo consesso nomofilattico in merito all’esatto perimetro applicativo della Convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007.
Il caso
La pronuncia in commento costituisce un’interessante statuizione del massimo consesso nomofilattico in merito all’esatto perimetro applicativo della Convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007.
Nello specifico, un investitore italiano evocava in giudizio due istituti di credito svizzeri, affinché fosse dichiarata la nullità dei contratti di investimento da lui sottoscritti – attraverso l’opera di due intermediari – con questi ultimi. Si costituivano entrambi gli istituti di credito, sostenendo, l’uno, di non essere avvinto da alcun legame con i due intermediari e, l’altro, che la giurisdizione della controversia spettasse alla Confederazione elvetica. Di là da quanto possa dirsi sul merito della lite, ai presenti fini interessa rilevare che tanto il Giudice di prime cure, quanto la Corte del gravame ritenevano fondata la tesi della banca elvetica sul difetto di giurisdizione italiana.
L’affermazione di entrambi i giudici del merito muoveva dal presupposto che, essendo la Svizzera il luogo di domicilio di entrambi gli istituti di credito, doveva restare inapplicato l’art. 16 della Convenzione in precedenza citata, giacché non ricorreva nessuna delle ipotesi previste dall’art. 15 (ed in particolare quella della lettera c), sebbene all’investitore dovesse essere riconosciuta la qualità soggettiva di consumatore.[1]. L’impossibilità d’applicare la regola di cui all’art. 15 lett. c) discendeva, secondo le Corti territoriali, da una carenza di elementi probatori atti a giustificare un collegamento tra l’attività delle banche col territorio italiano.
Avverso tale decisione, ricorreva, dunque, per cassazione l’investitore, censurandola per aver escluso la direzione dell’attività delle convenute verso la penisola italiana (elemento che avrebbe dovuto condurre al riconoscimento della giurisdizione italiana), senza considerare che questo presupposto potesse consistere – come nel caso di specie – in attività volte a sollecitare il pubblico per mezzo di soggetti appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale o aventi medesima ragione sociale. Nel dettaglio, avrebbe dovuto – secondo il ricorrente – essere diversamente valorizzata l’attività dei due intermediari, uno dei quali aveva financo raccolto la proposta della cliente, in virtù di specifica delega, presso la sede italiana di una banca appartenente allo stesso gruppo dell’omologa svizzera. Sottolineava il ricorrente, a sostegno della sua tesi, che: l’istituto aveva utilizzato una denominazione riferibile alla capogruppo italiana; il contratto s’era perfezionato in territorio italiano; in seno allo stesso era presente un esplicito richiamo alla legislazione italiana.
La decisione n°18636/2024 delle Sezioni Unite
La tesi dell’investitore ricorrente veniva ritenuta fondata dalle Sezioni Unite. A parere degli Ermellini, doveva essere riconosciuta la ricorrenza degli elementi di struttura dell’art. 15, par 1, lettera c) della Convenzione di Lugano che deroga al criterio generale previsto dall’articolo 2 e al criterio speciale previsto dall’articolo 5, n.1 lettera a). Secondo queste ultime disposizioni, le persone domiciliate nel territorio di uno Stato vincolato dalla Convenzione sono convenute, a prescindere dalla cittadinanza, davanti ai giudici di quello Stato e la persona domiciliata nel territorio di uno Stato vincolato dalla Convenzione può essere convenuta in un altro Stato vincolato dalla Convenzione, come in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita. Nel caso in esame, una parte esercitava attività commerciali e professionali in Italia, paese vincolato dalla Convenzione in cui il consumatore era domiciliato, o, con qualsiasi mezzo, dirigeva tali attività verso detto Stato, motivo per cui dovevano ritenersi applicabili le disposizioni derogatorie di cui s’è detto.
Inoltre – osservava il consesso nomofilattico -, la facoltà di adire il foro del consumatore corrispondeva a quanto dettato dalla sezione IV del Regolamento UE n. 44 del 2001, così come sostituito dal Regolamento n. 1215/2012, in relazione al quale la giurisprudenza unionale ha avuto modo di affermare che ai fini dell’applicazione della disciplina del foro del consumatore devono ricorrere cumulativamente tre presupposti. In primo luogo, occorre che si tratti per l’appunto di un consumatore e che in quanto tale, egli agisca in un contesto che può essere considerato estraneo alla sua attività professionale. In secondo luogo, deve ricorrere il requisito dell’effettiva conclusione del contratto tra un consumatore ed un professionista. In ultimo luogo, occorre che il contratto rientri in una delle categorie previste dall’articolo 15, paragrafo 1, lett. da a) a c). In relazione a queste categorie è stato rilevato che il testo dell’articolo 15, par. 1, del Regolamento n. 44/2001, pur ricalcando sostanzialmente quello dell’articolo 13, par. 1 della Convenzione di Bruxelles, non coincide integralmente con esso, giacché le nozioni di “proposta specifica” e di “pubblicità” sono riferite ad una gamma più ampia di attività, così da ampliare il bacino di tutela riservata al consumatore, anche alla luce della diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione e del commercio elettronico.
Il combinato disposto degli articoli 15. Par. 1 lettera c del Regolamento n. 44 /2001 e 16, deve essere inteso nel senso che può essere applicato a un contratto, stipulato tra un consumatore e un professionista, che non rientra in quanto tale nell’ambito dell’attività commerciale o professionale “diretta” da tale professionista “verso” lo Stato membro del domicilio del consumatore, ma che presenta un collegamento stretto con un contratto precedentemente stipulato dalle medesime parti nel contesto di un’attività siffatta. Tale presupposto – ha osservato la Corte di Cassazione – è stato ritenuto configurabile anche in un contratto di mandato, qualificato come “prolungamento diretto” dell’attività principale e ad essa “complementare, essendo volto a consentire il raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito attraverso quest’ultimo contratto”.
La giurisprudenza dell’Unione, del resto, è stata recepita anche dalla Cassazione italiana, la quale ha affermato in relazione a menzionati articoli 15 e 16 della Convenzione di Lugano, che “la direzione dell’attività verso lo Stato membro del domicilio del consumatore possa consistere anche in attività serventi o strumentali, di sollecitazione al pubblico attraverso agenti o mediatori o perfino per mezzo di soggetti appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale. “Tutte tali attività presentano un collegamento stretto con l’attività abituale svolta dal soggetto non consumatore, in cui, invece, si riconduce la stipula del contratto del cui inadempimento o imperfetto adempimento è causa”.
Tutti questi principi, concludeva la Corte, benché correttamente individuati, non erano stati correttamente interpretati in sede di gravame. Veniva, quindi, cassata con rinvio la pronuncia della Corte d’appello e dichiarata la giurisdizione del giudice italiano.
[1] Referenz AS 2010 5609, Übereinkommen über die gerichtliche Zuständigkeit und die Anerkennung und Vollstreckung von Entscheidungen in Zivil-und Handelssachen (Lugano-Übereinkommen, LugÜ) (mit Prot. und Anhängen) in Fedlex, Die Publikationsplattform des Bundesrechts. Rileva, ai fini di questa analisi l’art. 2: “Salve le disposizioni della presente convenzione, le persone domiciliate nel territorio di uno Stato vincolato dalla presente convenzione sono convenute, a prescindere dalla cittadinanza, davanti ai giudici di quello Stato. Alle persone che non sono cittadini dello Stato vincolato dalla presente convenzione nel quale sono domiciliate si applicano le norme sulla competenza vigenti per i cittadini.” Si riporta, altresì, quanto disposto dall’articolo 15 e 16 della Convenzione, secondo i quali: “Salve le disposizioni dell’articolo 4 e dell’articolo 5, paragrafo 5, la competenza in materia di contratti conclusi da una persona, il consumatore, per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività̀ professionale è regolata dalla presente sezione: a) qualora si tratti di una vendita a rate di beni mobili materiali; o b) qualora si tratti di un prestito con rimborso rateizzato o di un’altra operazione di credito, connessi con il finanziamento di una vendita di tali beni; o c) in tutti gli altri casi, qualora il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività̀ commerciali o professionali si svolgono nello Stato vincolato dalla presente convenzione in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato o verso una pluralità̀ di Stati comprendente tale Stato, purché́ il contratto rientri nell’ambito di dette attività̀. Qualora la controparte del consumatore non abbia il domicilio nel territorio di uno Stato vincolato dalla presente convenzione, ma possieda una succursale, un’agenzia o qualsiasi altra sede d’attività̀ in uno Stato vincolato dalla presente convenzione, essa è considerata, per le controversie relative all’esercizio di tale sede, come avente domicilio nel territorio di quest’ultimo Stato. La presente sezione non si applica ai contratti di trasporto che non prevedono prestazioni combinate di trasporto e di alloggio per un prezzo globale. L’azione del consumatore avverso la controparte contrattuale può̀ essere proposta o davanti al giudice dello Stato vincolato dalla presente convenzione nel cui territorio è domiciliata tale parte, o davanti al giudice del luogo in cui è domiciliato il consumatore. L’azione della controparte contrattuale avverso il consumatore può̀ essere proposta solo davanti al giudice dello Stato vincolato dalla presente convenzione nel cui territorio è domiciliato il consumatore. Le disposizioni del presente articolo non pregiudicano il diritto di proporre una domanda riconvenzionale davanti al giudice investito della domanda principale in conformità̀ della presente sezione.”
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