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All’indomani della Giornata internazionale per la solidarietà alla Palestina, il 30 novembre scorso, la piazza davanti al teatro dell’opera di Amsterdam, Stopera, si riempiva di bandiere rosse, verdi, nere e bianche. La portavoce dell’organizzazione olandese pro-Pal, avvolta in una kefiah, dichiarava: “Subiamo sempre più repressione, anche oggi la manifestazione è stata spostata all’ultimo minuto”. Il comune di Amsterdam aveva infatti vietato il raduno a Piazza Dam, nel centro città, con la scusa della sicurezza pubblica, data la possibilità che ci fossero scontri con militanti pro-Israele. Nel primo pomeriggio di quel giorno, proprio in Piazza Dam, venivano arrestate due persone che intendevano tenere una contromanifestazione: uno di loro, il leader del movimento Pegida, Edwin Wagensveld. Pegida (acronimo di Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes, cioè “Europei patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente”) è un’organizzazione populista di estrema destra islamofoba, fondata a Dresda nel 2014, e presente anche in Olanda.
Negli ultimi tempi, il clima politico si è acceso nei Paesi Bassi, portando il conflitto mediorientale al centro delle polemiche. Se a pochi chilometri da Amsterdam, all’Aia, la Corte penale internazionale ha messo sotto accusa Netanyahu e Gallant per crimini di guerra, il governo olandese di Geert Wilders, primo esecutivo di estrema destra dal dopoguerra, ha invece rafforzato l’appoggio incondizionato a Israele. In occasione di una precedente protesta pro-Pal davanti al parlamento olandese, Wilders era intervenuto su X: “È pieno di feccia antisemita di sinistra che urla odio verso gli ebrei. La polizia dovrebbe arrestarli e incarcerarli immediatamente!”. A livello internazionale, poi, ha fatto pressioni perché la Giordania accogliesse la diaspora palestinese, con lo slogan Jordan is Palestine, e ha più volte appoggiato gli avamposti e le colonie illegali israeliane in Cisgiordania. “Il governo olandese continua a ignorare la condanna internazionale del genocidio a Gaza e a sabotare gli sforzi per porvi fine” – sostiene il sito del movimento pro-Pal olandese: “I politici continuano a ripetere e a rafforzare la narrativa propagandistica di Israele e questo è imperdonabile”.
Amsterdam è uno spazio storicamente importante per la religione ebraica, tanto da essere chiamata la Gerusalemme d’Occidente. Prima del genocidio, seguito all’invasione nazista che ha eliminato circa l’80% degli ebrei residenti, la città ospitava una comunità di 79.000 persone di religione ebraica. La capitale olandese aveva accolto gli ashkenaziti, originari dell’Europa centrale, e gli ebrei provenienti da Spagna e Portogallo. Tra questi, per esempio, la famiglia del filosofo Baruch Spinoza. Nato ad Amsterdam nel 1632, Spinoza è stato più volte erroneamente considerato un proto-sionista. Addirittura, l’ex premier israeliano Ben Gurion lo definì “il primo sionista degli ultimi trecento anni”. Queste opinioni si basano principalmente su una sua affermazione nel Tractatus theologico-politicus, in cui prevede che il popolo ebraico “un giorno ristabilirà il proprio Stato indipendente”, a condizione che riesca a ritrovare la necessaria “virilità” per farlo. Lo stesso filosofo, però, era stato emarginato e poi ufficialmente allontanato dalla comunità ebraica, e frequentava assiduamente studiosi appartenenti ad altre religioni. Aveva un’idea laica dello Stato: oggi probabilmente non avrebbe appoggiato la deriva espansionistica di Israele. Sosteneva invece l’importanza di poter esprimere liberamente le proprie idee in ambito politico e religioso, ritenendo che la libertà implica rispetto e tolleranza verso le idee altrui. La manipolazione politica del pensiero del filosofo appare la stessa che oggi vorrebbe il movimento per la Palestina libera, quindi per la fine dell’occupazione dei territori fuori dagli accordi del 1948, come una matrice di antisemitismo.
“Associano la nostra protesta all’antisemitismo, è assurdo, vorremmo che gli ebrei si sentissero sicuri ovunque vadano nel mondo” – spiega la portavoce del movimento pro-Pal durante il corteo: “Si sta confondendo l’ebraismo con il sionismo, mentre il sionismo è più simile al colonialismo. È una questione politica, non religiosa”.
Quando, il 7 novembre scorso, alcuni ultras del Maccabi Tel Aviv erano stati aggrediti nel centro di Amsterdam, i media di vari Paesi – compresi quelli italiani – avevano gridato all’antisemitismo. Anche il sindaco, Femke Halsema, aveva raccontato la città come un luogo “profondamente ferito” da “rivoltosi antisemiti pieni d’odio”, dopo una notte di violenza “intollerabile”. E addirittura c’è chi ha accostato quella sera alla “notte dei cristalli”, quando, nel 1938, i nazisti erano andati casa per casa e negozio per negozio a cercare gli ebrei, devastando ogni cosa, e dando il via al peggiore massacro della storia moderna; mentre, dopo la partita tra la squadra israeliana e quella olandese, altro non si era visto che qualche rissa, istigata, tra l’altro, dalle provocazioni continue dei tifosi israeliani. I video di quella sera mostrano i sostenitori del Maccabi Tel Aviv strappare le bandiere palestinesi, danneggiare taxi e intonare cori atroci, come: “Perché le scuole sono chiuse a Gaza? Non ci sono più bambini lì”. Chi aveva risposto, con rabbia, a quelle provocazioni era stato prontamente identificato e denunciato per violenza. In tutto, la polizia aveva dichiarato di indagare su quarantacinque persone, che avevano provocato il ricovero temporaneo di cinque tifosi del Maccabi.
La scorsa settimana, l’11 dicembre, sono iniziati i processi, con la richiesta di pene esemplari. Nel caso di un ventiduenne, chiamato Sefa O., il pubblico ministero ha chiesto due anni di detenzione, per avere partecipato al pestaggio di alcuni ultras di Tel Aviv. Nonostante le richieste pesanti, e lo scontro tuttora in atto a livello politico, sono state mosse accuse anche nei confronti dei tifosi israeliani, ritenuti “colpevoli di tenere comportamenti provocatori”, come si legge in un comunicato della procura olandese. Lo stesso procuratore ha dichiarato: “Non ci sono prove di un intento terroristico o di violenza motivata da sentimenti antisemiti. Gli scontri sono stati influenzati dalla situazione a Gaza, non dall’antisemitismo”.
Per chi guarda la storia con senso critico appare chiara la distinzione tra le motivazioni religiose e quelle politiche, così come è evidente che la morte di centinaia di migliaia di bambine e bambini non è giustificabile in alcun modo. Non il trauma dell’Olocausto ma le strumentalizzazioni dei governi rendono la questione spinosa – in Italia, come in tutta Europa – alimentando l’odio. Nei Paesi Bassi, la posizione delle autorità si era già palesata quando, nel maggio del 2024, l’accampamento allestito all’Università di Amsterdam in sostegno al popolo palestinese, venne sgomberato violentemente. “Molte persone ancora oggi soffrono le conseguenze del trauma” – racconta l’organizzatrice durante il corteo –, “sono state picchiate in maniera brutale; ho avuto amiche con braccia rotte o con la testa spaccata. Perciò è ancora più importante che rimaniamo qui ora, che continuiamo a sostenere la causa”.
Quello del 30 novembre è stato il secondo corteo pro-Pal autorizzato, da quando, l’11 dello stesso mese, la polizia olandese aveva arrestato decine di manifestanti durante una protesta contro il divieto di raduno dopo gli eventi legati al Maccabi Tel Aviv. Tra le persone, ad ascoltare i discorsi davanti al teatro dell’opera di Amsterdam, si vedevano delle kippah. Un ragazzo la portava a forma di cocomero, per i suoi colori simbolo della resistenza palestinese, da quando il frutto fu usato per aggirare il divieto israeliano di esporre la bandiera palestinese con il suo rosso, nero, verde e bianco.
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