Pensione integrativa, perché bisognerebbe investirvi il 10% del proprio reddito annuo

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Il 74% degli italiani ha emozioni negative quando pensa al proprio pensionamento. C’è chi teme che l’età pensionabile continui a salire oltre i 70 anni e chi, invece, non ha ancora un fondo pensione complementare ed è indeciso su quale scegliere. È quanto emerge da uno studio dell’Università La Sapienza che testimonia sia l’urgenza di riforme per sostenere i fondi pensione integrativi di fronte alle sfide demografiche e sia la confusione nella quale versa il contribuente.

«Come dice il proverbio», ammonisce Andrea Di Vincenzo, ceo di Prestiter, «verrebbe da dire ‘aiutati che Dio ti aiuta’ perché chi aspetta resta fermo, mentre chi agisce costruisce il proprio futuro. Però ci vorrebbe più chiarezza e una maggiore comunicazione per aiutare i futuri pensionati nel compiere la scelta migliore. Partiamo dal problema principale: il gap pensionistico, ovvero con le varie riforme del sistema pensioni, l’assegno pensionistico sarà probabilmente più basso rispetto all’ultimo stipendio. La previdenza integrativa viene in aiuto proprio per riempire questo vuoto, dando una maggiore tranquillità economica durante la pensione».

E i numeri confermano questa attenzione da parte dei lavoratori. Infatti, secondo la Covip, la Commissione vigilanza sui fondi pensione, a settembre di quest’anno, il totale delle posizioni delle forme pensionistiche complementari era di 11 milioni, il 3,3 per cento in più rispetto alla fine del 2023. A tali posizioni, che includono anche quelle di coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale degli iscritti di 9,880 milioni. Le posizioni sono cresciute di 205.900 unità nei fondi negoziali (+5,1 per cento rispetto al dicembre 2023), per un totale complessivo di 4,223 milioni.

La teoria dei due orti

«Soprattutto se si è giovani, il tempo gioca a proprio favore perché, con piccoli sforzi quando arriverà il momento di andare in pensione, si potranno raccogliere i frutti di due ‘orti’, quello pubblico e quello integrativo», sottolinea Di Vincenzo. Ma quale può essere l’importo da versare regolarmente per far crescere al meglio il proprio “orto” integrativo? «Gli studi», spiega Di Vincenzo, «suggeriscono che destinare il 10% del proprio reddito annuo è già una buona base per costruire una pensione integrativa solida. Va tenuto presente che esistono tre forme di previdenza integrativa, i fondi pensione negoziali, nati da accordi collettivi di lavoro, i fondi pensione aperti, creati da banche, assicurazioni e altri enti finanziari, a cui è possibile aderire individualmente o collettivamente e, infine, i piani individuali di previdenza (Pip), gestiti da compagnie assicurative, dove è possibile contribuire in modo libero».

«Tutte e tre le opzioni», sottolinea Di Vincenzo, «offrono un importante vantaggio, ossia le agevolazioni fiscali. Infatti si possono dedurre i contributi versati, fino a un massimo di 5.164,57 euro all’anno, riducendo così l’imponibile fiscale e quando arriverà il momento di riscuotere la pensione integrativa si potrà beneficiare di un trattamento fiscale agevolato, rispetto ad altre forme di reddito».

«Se si è un lavoratore dipendente, va valutato il fondo pensione previsto dal proprio Ccnl, perché si può avere diritto al contributo datoriale, un contributo extra del datore di lavoro. Poi consiglio di confrontare i costi applicati dai vari fondi perché possono influire sul capitale finale. L’indicatore sintetico dei costi aiuta a capire quali sono le spese di gestione del fondo e, questo, è un aspetto spesso sottovalutato». «Infine», conclude Di Vincenzo, «vanno analizzate le linee di investimento. Se si è lontani dalla pensione, bisognerebbe puntare su investimenti a maggior rendimento e a maggior rischio, come le azioni. Perché nel lungo periodo, anche se il mercato attraversa fluttuazioni, si ha il tempo per recuperare e beneficiare dei trend di crescita. Al contrario, mano a mano che ci si avvicina all’età pensionabile è preferibile orientarsi verso soluzioni più stabili, come le obbligazioni che proteggono il capitale accumulato». (riproduzione riservata)



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