Si intitola “Illumina Aosta”, ha l’eloquente sottotitolo «Valdostani non troppo seri» e lo si può guardare o ascoltare, sull’omonimo canale YouTube (bit.ly/41FkHaV) o su Spotify. C’è anche un account Instagram: in un post recentissimo (bit.ly/49NoG7l) che ne certifica il salto di popolarità l’ideatore e conduttore Luca Dodaro spiega che “Illumina Aosta” «è un podcast valdostano che nasce con l’idea di fare due chiacchiere tra valdostani su questioni locali. Poi un giorno ho intervistato dei professori valdostani e la pagina è esplosa», in termini di utenti e di apprezzamento anche dall’esterno della regione. Così, prosegue Dodaro, «mi sono ritrovato con una pagina che parla della Valle d’Aosta seguita prevalentemente da persone che non sono della Valle d’Aosta». Di qui lo sdoppiamento dell’idea: puntate in studio di conversazioni «con amici e ospiti valdostani» e puntate live davanti a un piccolo pubblico, diffuse previo montaggio, in cui vengono invitati a raccontarsi “rappresentanti” valdostani di specifiche categorie o su determinate tematiche. Il tono è lieve e giocoso, divertito e libero. Se volessimo incasellare “Illumina Aosta” in un genere televisivo, potremmo dire che è una specie di talk-show; sui social i format di questo genere sono ormai numerosi. Per quanto venga prodotto solo dal 2022, è già arrivato uno sponsor, inserito con misura nella scrittura dello show. Il numero delle visualizzazioni di ciascuna puntata del live-show è diseguale: quelle più popolari superano e in qualche caso raddoppiano le 100mila visualizzazioni.
Preti moderni valdostani
Ma è la puntata più recente, andata online il 12 dicembre e segnalatami da Lorenzo Galliani, a essere diventata in pochi giorni la più vista. Mentre scrivo il contatore corre oltre le 320mila visualizzazioni. Si intitola “Preti moderni” (bit.ly/3OZkuYC) e ha come ospiti quattro presbiteri valdostani fra i trenta e i quarant’anni: da sinistra a destra (vedendoli sul palco) don Daniele, don Alessandro, don Jean-Claude e don Diego. Il terzo di loro è originario del Burundi, ed è lui stesso a innescare, con grande autoironia, una serie di battute sul colore della sua pelle che diventeranno il tormentone di tutta la serata. Qualche argomento appare scontato ma nell’insieme
– tenendo presente che la cifra dello show è il narrarsi con leggerezza – il conduttore, scevro da pregiudizi e assecondato dall’affiatato quartetto dei preti, indirizza bene la conversazione. Essa così tocca la vocazione e la formazione in seminario, alcuni tratti della vita quotidiana (quanto guadagna un prete, dove si veste, se ama gli scherzi) e finalmente alcune situazioni della vita pastorale, come i funerali nei quali il celebrante dimentica il nome del defunto o sbaglia la geografia delle parentele, le confessioni in cui il penitente esordisce dicendo di non avere alcun peccato da accusare e quelle che segnano una vera e propria conversione, le benedizioni che si vorrebbe scendessero sulle persone lontane aspergendone l’immagine sul cellulare.
Ottanta minuti di spettacolo
Un live-show realizzato per i social media non è un trattato di sociologia religiosa… ma non si può negare che questi 80 minuti di spettacolo, con le risate del conduttore che contagiano ospiti e pubblico, confermano tante cose sul ministero sacerdotale oggi in una provincia italiana e su come viene visto dal di fuori della comunità cristiana (è questo lo sguardo rappresentato dalle domande, e probabilmente anche dal successo del video). Quando i quattro preti parlano della lunga formazione che ha preceduto l’ordinazione si avvertono una certa fatica ma anche un legittimo orgoglio. Gli episodi buffi relativi ai funerali tradiscono il disagio di fornire servizi religiosi a “clienti”, per così dire, poco preparati a riceverli. I riferimenti alle parrocchie accorpate, alle troppe messe da celebrare ogni domenica, al rischio di burnout e alla vita in canonica meglio affrontata se in piccoli gruppi, nonché la presenza stessa tra gli intervistati di un prete straniero, fotografano il cambiamento difficile che è in corso e l’incertezza sul suo esito. Mentre l’assenza di domande sulla collaborazione di laiche e laici alla vita pastorale e sul rapporto con il vescovo confermano che, nella percezione esterna, la Chiesa locale è tuttora identificata con i preti. In sintesi: bravo Luca Dodaro, per la scelta e la gestione dei suoi ospiti; bravi ancor più i presbiteri, che tra candore, disincanto e realismo restituiscono una nitida immagine di fedeltà alla propria vocazione.
© riproduzione riservata
Preti moderni valdostani
Ma è la puntata più recente, andata online il 12 dicembre e segnalatami da Lorenzo Galliani, a essere diventata in pochi giorni la più vista. Mentre scrivo il contatore corre oltre le 320mila visualizzazioni. Si intitola “Preti moderni” (bit.ly/3OZkuYC) e ha come ospiti quattro presbiteri valdostani fra i trenta e i quarant’anni: da sinistra a destra (vedendoli sul palco) don Daniele, don Alessandro, don Jean-Claude e don Diego. Il terzo di loro è originario del Burundi, ed è lui stesso a innescare, con grande autoironia, una serie di battute sul colore della sua pelle che diventeranno il tormentone di tutta la serata. Qualche argomento appare scontato ma nell’insieme
– tenendo presente che la cifra dello show è il narrarsi con leggerezza – il conduttore, scevro da pregiudizi e assecondato dall’affiatato quartetto dei preti, indirizza bene la conversazione. Essa così tocca la vocazione e la formazione in seminario, alcuni tratti della vita quotidiana (quanto guadagna un prete, dove si veste, se ama gli scherzi) e finalmente alcune situazioni della vita pastorale, come i funerali nei quali il celebrante dimentica il nome del defunto o sbaglia la geografia delle parentele, le confessioni in cui il penitente esordisce dicendo di non avere alcun peccato da accusare e quelle che segnano una vera e propria conversione, le benedizioni che si vorrebbe scendessero sulle persone lontane aspergendone l’immagine sul cellulare.
Ottanta minuti di spettacolo
Un live-show realizzato per i social media non è un trattato di sociologia religiosa… ma non si può negare che questi 80 minuti di spettacolo, con le risate del conduttore che contagiano ospiti e pubblico, confermano tante cose sul ministero sacerdotale oggi in una provincia italiana e su come viene visto dal di fuori della comunità cristiana (è questo lo sguardo rappresentato dalle domande, e probabilmente anche dal successo del video). Quando i quattro preti parlano della lunga formazione che ha preceduto l’ordinazione si avvertono una certa fatica ma anche un legittimo orgoglio. Gli episodi buffi relativi ai funerali tradiscono il disagio di fornire servizi religiosi a “clienti”, per così dire, poco preparati a riceverli. I riferimenti alle parrocchie accorpate, alle troppe messe da celebrare ogni domenica, al rischio di burnout e alla vita in canonica meglio affrontata se in piccoli gruppi, nonché la presenza stessa tra gli intervistati di un prete straniero, fotografano il cambiamento difficile che è in corso e l’incertezza sul suo esito. Mentre l’assenza di domande sulla collaborazione di laiche e laici alla vita pastorale e sul rapporto con il vescovo confermano che, nella percezione esterna, la Chiesa locale è tuttora identificata con i preti. In sintesi: bravo Luca Dodaro, per la scelta e la gestione dei suoi ospiti; bravi ancor più i presbiteri, che tra candore, disincanto e realismo restituiscono una nitida immagine di fedeltà alla propria vocazione.
© riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link