Batterie elettriche, Europa in crisi, ma il riciclaggio resta dimenticato

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Il crash di Northvolt, fiore all’occhiello dell’industria europea delle batterie di automobili, è il segnale di superficie di un baratro molto peggiore di quanto appare. Perché? Perché, secondo una recente ricerca di Transport&Environment, influente organizzazione con sede a Bruxelles specializzata in materia di auto elettriche e decarbonizzazione, Nothvolt rappresenta appena l’8% sul 59% di progetti di gigafactory considerati ormai decaduti, ovvero, con una bassa probabilità di essere completati entro la fine del decennio. Dove, in Europa.

A mettere il dito nella piaga della produzione di batterie elettriche per auto, rilanciando un tema che ha visto nella caduta di Northvolt una vicenda in un certo senso paradigmatica per la UE, è la Cgia di Mestre, che sulla scorta dei dati della T&E, ha tratto una sorta di mappa con le capacità virtuali degli impianti che l’Europa potrebbe aspettarsi in futuro.

“Sulla base dei progetti annunciati, T&E ha individuato una capacità virtuale di 1,7 TWh entro il 2030, per circa 50 impianti – dicono dalla Cgia di Mestre – non tutti di matrice occidentale. Spiccano, infatti, quelli del numero uno mondiale, la cinese Catl (100 GWh in Ungheria), del colosso coreano LG Energy Solution (in Polonia, 115 GWh) e di Tesla a Berlino (100 GWh). Ma nella mappa ci sono anche i progetti della cinese Svolt (spin-off del costruttore di automobili Great Wall Motors) e della giapponese Envision Aesc. Tra i Paesi – si legge nella nota – l’Italia con il rinviato impianto di Termoli (consorzio ACC: Stellantis, Mercedes-Benz, TotalEnergies) arriverebbe nel 2030 a 48 GWh, contro i 358 della Germania, i 196 della Spagna e i 215 dell’Ungheria”.

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Del resto, non è un mistero che ACC, ovvero Automotive Cells Company, alleanza imprenditoriale che vede al suo interno Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies, abbia messo in stand by alcuni fra i progetti determinanti per il tema delle batterie, come le gigafactory collocate in Germania e Italia. Decisioni nate da un insieme di fattori, dall’instabilità economica e geopolitica senz’altro, ma anche dalla flessione nella vendita dei veicoli elettrici, che in Europa rischia di stroncare le speranze di leadership delle start up del vecchio Continente. D’antro canto, il caso Northvolt ha messo sul chi va là molti soggetti di questo settore industriale. Infatti, il fallimento del produttore svedese è avvenuto nonostante i 15 miliardi di dollari raccolti da governi e investitori. Il suo venir meno inoltre impatta con le previsioni sulla capacità produttiva europea generale. Se la capacità produttiva di Northvolt infatti era allo stato attuale pari a meno d un decimo del totale europeo (16 gigawattora o Gwh), entro dieci anni, secondo la proiezione della società di ricerca Benchmark Minerals Intelligence, sarebbe potuta salire di 4 volte, portando la complessiva capacità europea da 192 Ghw a ben 1192 Gwh. Avrebbe potuto.

Il condizionale è d’obbligo non solo per la fine di Northvolt, ma anche perché ci sono altri dati che nessuna impresa è disposta a lasciar correre, come emerge dal fatto che i grandi costruttori d’auto europei, che si erano impegnati nel sostegno a chi produce batterie in vista della promozione dei propri piani di auto elettriche, hanno diminuito soldi e partnership. L’arretramento della domanda di auto elettriche in Europa è un dato di fatto: le vendite sono calate in Italia del 5% nei primi dieci mesi di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2023; in Germania il calo è del 27%; in Europa si passa dal 14% al 13%.

I protagonisti della produzione di batterie per auto provengono dall’Asia. Per ora, e se il panorama non cambia, per qualche tempo resteranno loro a dare le carte. Il più grande impianto di batterie del continente europeo si trova in Polonia, e a gestirlo troviamo LG Energy Solution (LGES), un produttore sudcoreano. Per inciso, a questo impianto è ascrivibile la metà della capacità europea. Ancora, troviamo SK Innovation, sempre sudcoreana, e soprattutto la più grande produttrice di batterie mondiale, la cinese CATL. Interessanti gli ultimi movimenti, che vedono le sudcoreane raffreddare i propri piani espansivi, il che mette l’Europa davanti a una scelta che potrebbe risultare in qualche modo sgradevole alla sua classe politica, ovvero rifornirsi presso la cinese CATL, o importare direttamente dalla Cina.

Ci sono anche altri elementi da considerare, come dicono dalla Cgia veneta. Citando lo studio di T&E, “se l’Ue non dovesse confermare gli obiettivi sulle emissioni di CO2 e i dazi sull’import di auto elettriche cinesi – un combinato disposto che potrebbe frenare, dal 20% della quota di mercato stimata per il 2025 al 18% nel 2026, le vendite di auto made in China; in assenza si arriverebbe al 27% – sarebbero a rischio decine di miliardi di investimenti”, tenendo a mente che siamo “a fronte della tariffa doganale più bassa del mondo, appena superiore all’1%, proprio sull’import di batterie”. Secondo le stime di T&E solo il 10% dei progetti di gigafactory di batterie annunciati (oltre a quelli già in funzione) ha attualmente delle chance concrete. “Come si diceva, il 59% è già a rischio, con una perdita di circa 100mila potenziali posti di lavoro. Il 15% dei progetti è in costruzione e il 17% sono operativi”.

“Quando si parla di autonomia per la catena di approvvigionamento delle batterie europee – spiega Evan Hartley, senior analyst di Bmi, intervento riportato da Cgia Mestre – ci sono alcune cose da considerare. In primo luogo, la capacità non equivale alla produzione, quindi mentre prevediamo che la domanda regionale europea per il 2030 sarà di circa 930 GWh, stimiamo che la produzione effettiva sarà di circa 430 GWh. L’Europa sarà ancora fortemente dipendente dalla Cina o da altri impianti di produzione asiatici. Allo stesso modo, non tutta la produzione sarà orientata verso i mercati rilevanti, quindi è improbabile che la domanda sia completamente soddisfatta dalla produzione europea”.

Tirando le fila, sembrerebbe che all’Europa non resti che prepararsi alla resa, pur innalzando barriere come dazi o altre norme di tutela, che tuttavia spesso, nella storia, si sono rivelate inefficaci o addirittura controproducenti. La vera svolta della situazione potrebbe anche esserci, ma non riscuote entusiasmi o slanci proprio nel Vecchio Continente in difficoltà. Una strada indicata da uno studio di T&E, i cui risultati sono stati resi noti poche settimane fa, e che si chiama “riciclaggio”.

I dati proposti dallo studio di T&E sono incoraggianti. ll riciclaggio potrebbe consentire all’Europa di ridurre la sua dipendenza dalle importazioni di minerali per batterie EV fino a un quarto entro la fine del decennio. “I materiali provenienti da batterie a fine vita e rottami di gigafactory hanno il potenziale per costruire fino a 2,4 milioni di EV a livello locale nel 2030”, secondo la ricerca. Un potenziale che tuttavia UE e Regno Unito potranno sfruttare solo se garantiranno “progetti di riciclaggio che rischiano di essere annullati”, come ha affermato T&E.

In numeri, riciclare celle esaurite e scarti di produzione potrebbe fornire il 14% del litio, il 16% del nichel, il 17% del manganese e un quarto (25%) del cobalto di cui l’Europa avrà bisogno per le auto elettriche nel 2030, secondo quanto emerso dallo studio, che ipotizza anche, di fronte alla possibilità che le percentuali possano crescere in modo significativo, una regione europea potenzialmente in grado di “essere quasi autosufficiente in cobalto per le auto elettriche nel 2040”.

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Julia Poliscanova, direttore senior per i veicoli e le catene di fornitura di emobility presso T&E, ha affermato: “Se l’Europa rispetta i suoi piani di riciclaggio, può ridurre drasticamente la sua dipendenza dai metalli critici importati. I volumi previsti di materiali recuperati localmente possono consentire all’Europa di costruire milioni di veicoli elettrici puliti localmente”.

Secondo le risultanze messe in campo dallo studio di T&E, il recupero dei materiali delle batterie potrebbe sostituire anche la necessità di minerali primari. La ricerca ha scoperto che il riciclaggio dei minerali dei veicoli elettrici in Europa potrebbe “evitare la necessità di costruire 12 nuove miniere a livello globale entro il 2040: quattro di litio, tre di nichel, quattro di cobalto e una di manganese. Ciò ridurrebbe anche i potenziali impatti negativi su acqua, suolo e biodiversità di tali miniere”. Non solo. Il riciclaggio in Europa ” potrebbe ridurre l’impronta di carbonio dell’approvvigionamento di litio di quasi un quinto (19%) rispetto all’estrazione in Australia e alla raffinazione in Cina. Ciò è dovuto alla rete elettrica più pulita dell’Europa. Ma per raccogliere i benefici economici e di sostenibilità, l’Europa deve ampliare la sua industria del riciclaggio. Secondo il rapporto, quasi la metà della capacità di riciclaggio annunciata per la regione è in sospeso o incerta di andare avanti”. Ma per mettere mano definitivamente a un riciclaggio che restituisca valore, l’Europa e il Regno Unito dovrebbero accogliere l’invito di T&E “a dare urgentemente priorità al supporto per il riciclaggio nelle loro politiche e nei loro programmi di finanziamento. La prossima proposta dell’UE per un Circular Economy Act dovrebbe supportare l’aumento delle fabbriche di riciclaggio locali, limitando al contempo le esportazioni di rifiuti di batterie e semplificando la spedizione dei materiali delle batterie a fine vita all’interno dell’Europa”. 





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