Voce country del Dizionario delle Mode: vaqueros, Buffalo Bill, Madonna, l’Uomo Marlboro, George Stubbs e Lil Nas X. Una mitologia confusa, per lo più ascritta alla frontiera dell’Americam West, stipata in borse modello saddle, “sella di cavallo”, meglio se di Dior o Hermès. La Maison francese che ha fatto della carrozza “Duc” trainata da un cavallo il suo logo è emblema di come la moda abbia convertito l’iconografia country in un melting pot dove pantaloni in tela pesante, chaps in pelle e giacche in denim volutamente sporche di fango convivono con foulard in seta, borse in pelle lucida e stivali brillanti modello camperos. Edulcorato nella nuova definizione di country-chic, il Wild West della moda non si sporca di fango: l’equipaggiamento equestre o da cowboy, che continua a svolgere un ruolo funzionale nei circuiti dei rodei, nei maneggi e sulle piste da competizione, oggi non è altro che un costume. Un modo per mettere in scena un certo modello estetico, sublimato in costumi sgargianti: si vedano Maison come Hermès e Gucci, che hanno costruito il loro stesso Heritage sull’iconografia equestre; i cappelli Stetson ricoperti di paillettes della cantante Dolly Parton; i costumi della pellicola anni Novanta Thelma e Louise o la copertina di American Cowboy con protagonisti Tom Selleck e Harrison Ford, in un mix country-Hollywood-pop che già negli anni Ottanta aveva trasceso la frontiera del West.
Salito su un nuovo cavallo bianco, nel 2024/2025 tale immaginario si frammenta in definizioni da era social: si parla di horse girl aesthetic, equestrian chic e English countryside chic. Letteralmente significano, pur con le dovute sfumature, una nobilitazione dell’armadio rurale. Ovvero un armadio pratico, da casa – o meglio villa – di campagna. Ne fanno parte le giacche in tweed o lana, i gilet trapuntati, le camicie button-down, le cromie verde oliva, sabbia o blu navy, e le stampe con motivi equestri, come ferri di cavallo o briglie. Una sintesi tra la campagna dei reali inglesi – con i relativi trench Burberry, le giacche Barbour e i foulard di Hermès – e il deserto del Texas, con camperos, jodhpur e fibbie annessi. Tra fantini e cowboy, insomma, ora declinati al femminile: nell’ultimo anno la sezione stable girl – “ragazza da sella” – è stata introdotta dai maggiori retailer come risposta alla generale richiesta di abbigliamento countryside chic. Si è così iniziato a parlare di athleisure in stile equestre, ovvero di abbigliamento simil-tecnico traghettato al di fuori delle aree di originaria competenza. Una patina estetizzante ha rivestito l’equipaggiamento duro e puro dell’ Uomo Marlboro, non più sviluppato nei ranch, ma in atelier, per camminare sulle passerelle dell’Autunno Inverno 2024/2025. Ma al netto di definizioni tanto sfumate, di cosa si è trattato nella pratica vestimentaria?
Da Chloé erano i pantaloni in pelle con frange e cinturini alle ginocchia, i capispalla, anch’essi sfrangiati, e le ballerine con nappe. Da Coach e Prada erano le barn jacket, o “giacche da fattoria” – barn è inglese per “fienile”. Brevettata nella Francia del Diciannovesimo secolo, dove veniva utilizzata da agricoltori e ferrovieri, si tratta di una giacca in drill di cotone o tela, con colletto e fodera idrorepellente che, giunta negli Stati Uniti all’inizio del Ventesimo secolo, nel 1980 venne ri-progettata da Dame Margaret Barbour come giacca da equitazione. Per Stella McCartney e Isabel Marant era il camoscio di giacche, borse e mocassini, adornato con frange e chaps, spesso abbinato a camice da rodeo.
Poi, da Louis Vuitton e Schiaparelli era il cosiddetto “Canadian Tuxedo”, o smoking in denim. Secondo la storia aneddotica, quest’ultimo nacque negli anni Cinquanta quando al cantante Bing Crosby venne rifiutato l’accesso in un hotel canadese perché indossava un completo in denim – un materiale poco elegante, riservato a minatori, allevatori e cowboy. Fu allora che il brand Levi Strauss & Co., venuto a conoscenza del fatto, realizzò per lui un abito in denim su misura, cristallizzandolo nell’immaginario comune come “lo smoking dei cowboy”. Ancora, da JW Anderson, Hodakova e Sandy Liang erano fiocchi, roselline e coccarde rosse, come si usa porre sulle giacche dei cavalieri vincitori delle corse equestri. Da Miu Miu e Versace erano i guanti corti in pelle, tipicamente indossati dai fantini per una migliore presa sulle redini.
Poi, ovunque, stivali texani, hardware a forma di morso di cavallo, blazer a vita stretta, pantaloni jodhpur, capispalla in tela sdrucita e cappelli a tesa larga modello Cordobes. È così che nell’ultima stagione l’apprezzamento collettivo verso la cultura equestre ha raggiunto il suo culmine. Prima del 2024, era stata una certa Mademoiselle Chanel a fare dei pantaloni da equitazione, dei gilet da garzone e dei pullover da scudiero capi agili e funzionali, perfettamente adatti al corpo femminile, allora liberato dalle gabbie di crinolina per vestire un’uniforme di eleganza calma e silente. Ma questa è un’altra storia.
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