Eurasia, nuova edizione con Trump in copertina

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Il settantasettesimo numero della rivista di geopolitica “Eurasia”, che reca in copertina una foto di Donald Trump tra una bandiera a stelle e strisce e una con la stella di David, si intitola I tre fronti, poiché la nuova amministrazione del paese egemone dell’Occidente si troverà impegnata su tre fronti principali: Russia, Vicino Oriente, Asia orientale.

Secondo “Eurasia”, non è escluso che il compito di occuparsi del primo fronte venga scaricata da Trump sull’Unione Europea, più fedele che mai ai dettati statunitensi. Mentre, per quanto riguarda il secondo fronte, l’avamposto israeliano degli USA ha inferto colpi durissimi all’Asse della Resistenza e minaccia di colpire l’Iran. Quanto al terzo fronte, Washington sta spostando il baricentro della sua potenza militare sull’Indo-Pacifico, dove cercherà di creare un’alleanza militare per sostenere Taiwan contro le aspirazioni di Pechino e ridimensionare la potenza del rivale cinese.

Ma andiamo per ordine. Anticipando verosimili previsioni sullo sviluppo della situazione in Ucraina, un articolo di Giuseppe Cappelluti ricorda che la vittoria elettorale di Trump è stata accompagnata dalla promessa di concludere il più che decennale conflitto. Ma, conclude l’autore dell’articolo, “per la parola ‘pace’, è probabile che si debba attendere ancora qualche anno, e i tempi per la normalizzazione delle relazioni russo-statunitensi potrebbero essere ancora più lunghi, come dimostra anche l’esperienza storica. Non bisogna dimenticare, ad esempio, che le relazioni tra gli Stati Uniti e il Vietnam furono normalizzate solo nel 1994, quando la guerra era finita già nel 1975”.

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Della situazione sul secondo fronte si occupa Alessandra Colla, che ipotizza “un’azione di forza degli Stati Uniti nella regione, allo scopo di impossessarsi del petrolio mediorientale”, mentre Daniele Perra si prefigge l’obiettivo di comprendere in che modo si rapporteranno e si confronteranno il polo occidentale (USA-Israele) e quello eurasiatico (Russia, Cina, Iran).

All’Iran, in particolare, si riferiscono anche altri contributi. Nel suo saggio Mohammad Hashemi (L’Iran e gli Stati Uniti dopo le elezioni americane) mostra come dopo la Rivoluzione del 1979 l’approccio statunitense nei confronti dell’Iran sia sempre stato ostile, poiché Washington non ha mai rinunciato al suo obiettivo macrostrategico: cambiare la prassi e la natura stessa dell’ordinamento iraniano e rovesciare la Repubblica Islamica. Utilizzando il metodo analitico-descrittivo e passando in rassegna le strategie e le azioni antiraniane dei governi statunitensi, in particolare quelle dei governi Trump e Biden, l’analista cerca di rispondere ai seguenti interrogativi: quale linea di condotta verrà adottata dalla nuova amministrazione americana contro l’Iran? Quali strategie e quali azioni dovrebbe adottare la Repubblica Islamica per affrontare l’approccio ostile della Casa Bianca?

Sulle azioni terroristiche antiraniane patrocinate dall’Occidente e in particolare sulle attività del gruppo armato Mojahedin-e Khalq veniamo ragguagliati da un articolo di Maria Morigi, mentre Amedeo Maddaluno fornisce preziose informazioni tecniche sugli attacchi esplosivi attuati da Israele tramite i dispositivi elettronici verosimilmente manipolati dal Mossad nella capitale ungherese.

Sempre in relazione all’Iran occorre infine segnalare un’intervista a Mohammad Reza Sabouri, Ambasciatore della Repubblica Islamica in Italia, nonché le recensioni di due libri: Dottrina Soleimani. Formazione ed evoluzione dell’Asse della resistenza di Daniele Perra e Cella n. 14 dell’ayatollah Ali Khamenei.

Riguarda il quadrante del Vicino Oriente anche l’articolo di Aldo Braccio sulla posizione della Turchia rispetto agli scenari di guerra: quelli in cui i conflitti sono in corso e quello incombente che riguarda la Cina e Taiwan. L’autore rileva le oscillazioni della politica turca in Ucraina e nel Vicino Oriente, mentre ritiene più stabile la posizione di Ankara sulla questione taiwanese; del resto, osserva, l’intesa fra Cina e Turchia non è stata incrinata neppure dall’artificiosa propaganda atlantista a proposito della cosiddetta ‘questione uigura’ e del Sinkiang.
Una accurata analisi storica e politica della contesa su Taiwan, dalle origini coloniali alle tensioni odierne, è dovuta a Giulio Chinappi, che scrive: “Mentre gli Stati Uniti, cercando di creare un’alleanza militare per sostenere militarmente Taiwan, provocano grave turbamento nell’Asia-Pacifico, l’approccio pacifico della Cina contribuisce alla stabilità regionale e globale, cosicché Pechino viene sempre più vista come un punto di riferimento dai Paesi del Sud globale”.

I rapporti conflittuali esistenti fra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese sono oggetto di un articolo di Valerio Savioli, che prende le mosse dallo stanziamento di due miliardi di dollari a favore delle istituzioni nordamericane specializzate nella propaganda anticinese.
Di Asia orientale si occupa Franz Simonini, il quale però dirige la propria attenzione sul Giappone, che “ha annunciato il più grande piano di rafforzamento militare dal dopoguerra, con un investimento di 320 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni e l’obiettivo di diventare la terza potenza militare dopo gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese”.

Anche in questo numero di “Eurasia” vengono riproposti nella sezione “Documenti” alcuni testi inediti o comunque di non agevole reperimento. Stavolta il testo più “antico” è il discorso che il sindacalista Giuseppe Di Vittorio pronunciò alla Camera dei Deputati il 16 marzo 1949 per dichiarare la sua contrarietà all’adesione dell’Italia al Patto Atlantico. Il secondo documento contiene una decina di risposte date da Jean Thiriart in un’intervista rilasciata nel 1982 sui temi “Geopolitica, Impero, Europa”. Segue un testo del 2001, completamente inedito, dovuto a Carlo Terracciano, che fece parte della redazione di “Eurasia” fin dalla fondazione della rivista. Viene infine riproposto, a cinque anni dalla sua pubblicazione, il contributo di Claudio Mutti al volume collettaneo Inganno Bannon (CinabroEdizioni, Roma 2019). Quest’ultimo scritto si ricollega in qualche modo all’editoriale (Patriots) con cui il direttore di “Eurasia” apre il presente numero di “Eurasia”, dal quale riportiamo le righe iniziali: “Tra gli effetti che la nuova amministrazione statunitense produrrà verosimilmente in Europa, è prevedibile il rafforzamento dell’ala destra del collaborazionismo atlantista, la quale, dopo essersi schierata decisamente a favore di Donald Trump nel corso della presidenza 2017-2021, nel periodo dell’amministrazione Biden ne ha fervidamente caldeggiato il ritorno alla Casa Bianca e ne ha accolto con grande giubilo la vittoria elettorale”.

Matteo Pio Impagnatiello

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