Le considerazioni che seguono si riferiscono, in particolare, al commercio nel Comune d’Ischia, perché sono il frutto di osservazione quotidiana da parte mia che, battendo il territorio comunale quasi esclusivamente a piedi, rilevo giorno per giorno il precipizio commerciale in cui la città d’Ischia si sta avvitando. Da via Roma a via Vittoria Colonna e fino a Ischia Ponte, per non parlare delle zone periferiche, è tutta una lunga teoria di locali commerciali in vendita o in fitto. Per estrapolazione, ipotizzo che non molto dissimile sia la situazione negli altri Comuni dell’isola. Ma, nel contempo, sono ben consapevole che questo proscenio locale abbia, come sfondo, un retropalco nazionale altrettanto critico. Ma incominciamo proprio dal livello nazionale. Sappiamo ormai da anni che per ciò che riguarda la grande distribuzione c’è stata la grande invasione dei francesi (Carrefour, Auchan, Leroy Merlin); conosciamo le lotte e la contrapposizione tra player di famiglie private nazionali (famiglia Caprotti di Esselunga) e mondo della cooperazione (Coop), a cui si aggiungono gruppi come Conad, Selex, Eurospin, Lidl Italia. Anche queste grandi organizzazioni, spesso accusate di strozzare i prezzi alla produzione di coltivatori, allevatori, pescatori, conoscono momenti di grandi difficoltà. Faccio l’esempio della Coop emiliana (e non è mai stato vero che “la Coop se tu” perché anch’essa è espressione di poteri politico economici forti) è andata in crisi, tant’è che ha ritenuto di rivedere tutta la rete di vendita, con trasformazioni che hanno puntato su un allargamento commerciale al settore della ristorazione veloce. Al supermercato ora si va anche per mangiare un pasto frugale e continuare la giornata di shopping senza sosta.
Ma sappiamo tutti che il settore più in crisi è quello dell’abbigliamento e, per il prossimo Natale, le previsioni non lasciano intravedere nulla di buono. Un’indagine SWG prevede che gli italiani spenderanno il 24% in meno rispetto al Natale 2023, ferma restando alimentari e prodotti per la cura della persona, per cui il decremento è tutto concentrato su abbigliamento e accessori. Perfino nomi illustri come Benetton Group, negli ultimi 10 anni, ha accumulato 1,6 miliardo di perdite. Perfino Coin accumula 80 milioni di debiti e, nonostante 35 grandi magazzini e 130 franchising, è costretto a trattare, in questi giorni, al MIMIT (Ministero delle Imprese e del Made in Italy). Anche Furla (borse), della famiglia Furlanetto, accumula, con le banche (alle quali chiede una rinegoziazione) 25 milioni di debiti. Geox (scarpe) chiude le sue attività in America e in Cina. H&M (gradito alle generazioni giovani) ha chiuso 71 negozi. Lo stesso dicasi della spagnola Zara, che elimina 63 negozi. Conbipel è in crisi e sarà probabilmente rilevata da OVS. Questo il quadro apocalittico nazionale. Aggiungiamoci la corsa impazzita degli italiani agli acquisti in e-commerce (a volte con prodotti pessimi e dannosi, come nel caso della cinese Shein o Temu o Aliexpress). Aggiungiamoci l’attuale contrazione della produttività e la minore capacità di spesa degli italiani e avremo un quadro ancora più desolante. Dunque, la moria dei negozi ad Ischia s’inquadra in questo scenario, ma perfino con qualche negatività e responsabilità in più rispetto al livello nazionale.
Mi limito a citare quattro componenti, che rendono ancora più difficile il commercio ischitano rispetto a quello della terraferma . Prima responsabilità (che riguarda il livello amministrativo pubblico): la cocciutaggine nel non aver voluto predisporre un nuovo Piano di distribuzione commerciale (Legge Regionale 1/2014), per cui i nuovi insediamenti commerciali sorgono in piena anarchia (tranne gli aspetti sanitari e di igiene) senza alcuna logica di paese, di rispetto dei centri urbani, senza selezione di tipologie per zona. Seconda responsabilità amministrativa: la mancata istituzione del Distretto Commerciale (cosa che invece ha fatto Forio) con la perdita di fondi che sarebbero andati a beneficio dell’ammodernamento, efficientamento e adeguamento della rete commerciale. Ricordiamo che il DUC è il Distretto di Area Comunale (e il Comune di Ischia ha il numero di abitanti sufficiente) e il DID (Distretto di Area Intercomunale) sarebbe stato utile a quei Comuni isolani che non possono attuarlo da soli per mancanza del requisito del numero della popolazione. Terzo elemento frenante del commercio locale è la follia dei proprietari di locali ad uso negozi che, in molti casi, chiedono canoni assolutamente incompatibili con le condizioni di mercato in regime di una pesante crisi commerciale ed economica. Il fatto è che la maggior parte dei proprietari è talmente benestante che possono permettersi il lusso di lasciare inattivo il locale anche per anni (col probabile risvolto che ad accettare le condizioni esose venga un pseudo operatore economico con necessità di riciclaggio di capitali sporchi). Quarto ed ultimo elemento frenante è la facilità di accesso ad acquisti sulla terraferma, nella città di Napoli (i cui prezzi sono decisamente inferiori, potendo vendere tutto e per tutto l’arco dell’anno a milioni di persone) e dintorni (centri commerciali verso i quali da Ischia vengono organizzati pulman per acquisti e ritorno). Risultato: un cimitero di “vendesi” o “locasi” a Ischia.
Cosa ci riserva il futuro? Lo accenno qui ma poi si apre un altro capitolo, che affronteremo più approfonditamente in un’altra occasione: l’uso dell’A.I. (Intelligenza Artificiale) per rendere più appetibile e più moderni i punti fisici di vendita. Due esempi concreti: il Conad Tuday di Verona ed Esselunga Lab nell’area Expo di Milano. In entrambi i casi il cliente non deve fare la fila alla cassa per il pagamento e nemmeno alla cassa fai da te. Semplicemente, ci sono sensori che rilevano in diretta gli acquisti che fai e dovrai andare a pagare alla cassa automatica ciò che è già contabilizzato. Inoltre lo studio personalizzato e storico della clientela (ad opera dell’A.I.) consentirà ai negozi di selezionare a misura individuale i prodotti preferiti. Fantascienza? No, anticipazioni scientifiche!
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