Pensione, prima dei 67 anni per molti è un sogno irragiungibile

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La recente manovra del governo, pur aprendo alla possibilità di cumulare pensione pubblica e privata, ha alzato i requisiti di accesso e aumentato da 20 a 30 gli anni di contribuzione necessari

Per molti cinquantenni, andare in pensione prima dei 67 anni rappresenta un sogno irraggiungibile, mentre per ventenni e trentenni è una sfida colma di incognite. La recente manovra del governo, pur aprendo alla possibilità di cumulare pensione pubblica e privata, ha alzato i requisiti di accesso e aumentato da 20 a 30 gli anni di contribuzione necessari. Questo rende più difficile accedere al pensionamento anticipato, soprattutto per chi ha redditi medio-bassi.

I costi per i nati negli anni Settanta

Per chi è nato negli anni Settanta, il quadro appare scoraggiante. Contributi mensili che vanno da un minimo di 209 euro a oltre 1.100 euro dovrebbero essere versati alla previdenza integrativa per sperare in un’uscita anticipata a 64 anni. Per molti, questa cifra corrisponde a gran parte dello stipendio. In alternativa, non resta che attendere i 67 anni con almeno 20 anni di contributi, o persino i 71 anni per chi ne ha accumulati solo 5. I Millennials, invece, potrebbero sfruttare l’opzione, a patto di destinare l’intero Tfr ai fondi pensione fin dal primo impiego, aggiungendo ulteriori risparmi.

Requisiti per accesso alla pensione sempre più severi

Le modifiche introdotte dal governo avranno effetti a partire dal 2035, riguardando i cosiddetti “contributivi puri”, cioè coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996. Secondo la legge Fornero, bastavano 64 anni di età e 20 di contributi, purché la pensione ammontasse almeno a 2,8 volte l’assegno sociale, circa 1.500 euro. La prima manovra del governo Meloni ha alzato questa soglia a 3 volte (1.600 euro), e l’ultima l’ha ulteriormente incrementata a 3,2 volte (1.710 euro) dal 2030.

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Più cresce questo valore soglia, più difficile diventa accedere al pensionamento anticipato. Solo lavoratori con stipendi elevati e carriere ininterrotte possono sperare di raggiungerlo. Per le madri è previsto uno sconto: 2,8 volte l’assegno sociale con un figlio, 2,6 volte con due o più figli.

L’emendamento della Lega: tra concessioni e restrizioni

Un emendamento della Lega, approvato di recente, consente di sommare la pensione pubblica con la rendita dei fondi pensione privati. Tuttavia, ha anche inasprito le regole, portando gli anni di contribuzione necessari a 25 dal prossimo anno e a 30 dal 2030.

Nonostante l’apparente apertura, il numero di lavoratori che potrà usufruire di queste nuove norme è estremamente limitato. Secondo le stime, saranno appena 100 nel 2025 e 600 entro la fine del decennio. Inoltre, entro il 2030, l’età minima per la pensione anticipata aumenterà in base all’aspettativa di vita, rendendo il traguardo ancora più lontano.

Un destino difficile per la Generazione X

La Generazione X, composta da chi è nato negli anni Settanta, è la più colpita da queste misure. Questo gruppo ha vissuto il passaggio dal sistema retributivo, più vantaggioso, a quello contributivo, che garantisce meno. A ciò si aggiungono gli effetti della flessibilizzazione del lavoro, che ha reso le carriere più discontinue e gli stipendi meno competitivi.

Per chi guadagna 1.250 euro netti al mese e non ha versato il Tfr ai fondi pensione, l’uscita anticipata diventa quasi impossibile. Anche chi percepisce 1.500 euro si trova davanti a ostacoli significativi, a meno di non sacrificare una parte consistente dello stipendio. Per questa generazione, senza un aumento degli stipendi, l’accesso alla pensione resta una meta che si allontana sempre più.

I fondi integrativi non decollano

Secondo Andrea Carbone, economista e fondatore di Smileconomy, la nuova norma rischia di essere poco efficace per i lavoratori con redditi bassi, proprio coloro che avrebbe voluto aiutare. I dati Covip mostrano che solo il 29,7% dei dipendenti e il 13% degli autonomi versa contributi ai fondi pensione, con un importo medio mensile di circa 225 euro, Tfr incluso.

La complessità delle regole non aiuta: molti lavoratori si sentono disorientati e rischiano di perdere fiducia sia nella previdenza pubblica sia in quella integrativa. Una semplificazione normativa sarebbe essenziale per evitare frustrazioni e garantire maggiore equità nel sistema pensionistico.



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