Perché la Francia è sull’orlo del baratro anche economico

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Il debito francese può andare fuori controllo per effetto dell’instabilità politica. E può farlo in tempi abbastanza rapidi. Estratto dalla newsletter Appunti di Stefano Feltri

CRISI DEL DEBITO PER LA FRANCIA?

Anche i francesi sono preoccupati per una paralisi dell’economia dovuta a una crisi da debito: la sera prima del voto decisivo sulla sfiducia al governo Barnier, le trasmissioni di approfondimento francesi discutevano se a gennaio le pensioni possono essere pagate anche nel caso non venga approvata alcuna legge di Bilancio, se i dipendenti pubblici riceveranno gli stipendi, quali tasse saliranno in automatico e quali detrazioni fiscali salteranno.

COSA TEMONO GLI INVESTITORI

Da giorni gli investitori studiano i possibili scenari: in base alle leggi francesi non si può emettere nuovo debito senza l’approvazione parlamentare. E’ il problema che negli Stati Uniti si presenta spesso per effetto di un tetto al debito che è espresso in dollari e non in percentuale al Pil, e dunque va continuamente alzato: in assenza del voto si blocca l’intera macchina federale.

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LE MOSSE TEORICHE DI MACRON

In Francia in teoria il presidente Macron può imporre una legge di bilancio per decreto sostenendo che la tenuta dello Stato è a rischio, ma poi tocca comunque al Parlamento trovare una soluzione.

IL PROBLEMA DI FONDO

E comunque il problema di fondo non sarebbe risolto: perché quello che preoccupa i mercati non è il contenuto specifico di questo o quel provvedimento, ma che in Francia manchi un sostegno trasversale ad adottare misure compatibili con la tenuta del debito pubblico.

CONFRONTI ITALIA-FRANCIA

In Italia, nella fase dell’emergenza, il governo Monti poteva contare su un appoggio parlamentare molto largo, con tutti i principali partiti, tranne la Lega e Fratelli d’Italia.

In Francia la situazione è diversa: il centro riformista di Macron si è squagliato, i conservatori e i socialisti contano sempre meno, mentre il sistema si è polarizzato intorno a forze estreme – la France Insoumise e il Rassemblement National – che sono accomunate da una comune ostilità a ogni tipo di misura contabile che comporti sacrifici, vogliono più spesa sociale, più pensioni, meno tasse, o meglio, meno tasse per tutti tranne che sui grandi patrimoni e le grandi imprese.

DOSSIER DEBITO PUBBLICO

Quello che politici ed elettori non considerano è che il debito pubblico cresce in modo convesso e non lineare, come dicono gli economisti (trovate qui una presentazione di Daniel Gros). In pratica, se sale il rischio percepito, aumenta il premio al rischio e cresce il costo marginale del debito, cioè quello per emettere nuovi titoli.

A cascata, anche il costo del debito pregresso cresce rapidamente a ogni rinnovo dei titoli in scadenza, e cresce molto rapidamente.

Abbiamo imparato il concetto di crescita esponenziale ai tempi della diffusione dei contagi da Covid: ecco, anche il debito può crescere così quando quello che fa salire il costo non è soltanto l’aumento dell’indebitamento complessivo ma l’aumento della sua rischiosità percepita.

Dunque, in sintesi, il debito francese può andare fuori controllo per effetto dell’instabilità politica. E può farlo in tempi abbastanza rapidi.

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RISCHIO CONTAGIO PER L’EUROPA E L’ITALIA?

Veniamo allora alla seconda domanda inevitabile: c’è un rischio di contagio al resto dell’eurozona e in particolare all’Italia?

Tra 2011 e 2012 la crisi dello spread partì quando gli investitori iniziarono a mettere in dubbio il senso stesso dell’euro: per anni i mercati avevano dato per scontato che il debito dei vari Paesi nella moneta unica avesse più o meno lo stesso livello di rischio. Con la scoperta dei conti truccati della Grecia, quella ipotesi venne meno e gli investitori iniziarono a dare prezzi diversi ai diversi debiti. C’era una gran confusione.

Oggi la situazione è molto diversa. Molte incertezze hanno trovato risposte rassicuranti. Adesso sappiamo che la Bce, se necessario, può intervenire per tenere bassi i rendimenti del debito dei Paesi a rischio. Sappiamo anche che si può creare il consenso politico per sospendere le regole di bilancio a livello europeo o per adattarle al mutare delle circostanze.

E le banche oggi sono molto più solide che durante la crisi dell’euro, hanno superato indenni anche la fase di bruschi rialzi dei tassi di interesse che negli Stati Uniti ha innescato un’ondata breve ma violenta di crisi bancarie a inizio 2023. L’Italia, poi, oggi ha una notevole stabilità politica che si combina con un approccio prudente verso i conti pubblici.

Quindi, nell’insieme, la zona euro è più solida e flessibile, dunque più resiliente, che tra 2011 e 2012. Ma le buone notizie finiscono qua. Tra le cattive c’è l’assenza di una chiara leadership politica. Nel 2012 era chiaro chi comandava, cioè la cancelliera tedesca Angela Merkel con Nicolas Sarkozy prima e Francois Hollande poi. Una volta che c’era il consenso politico, la Bce di Mario Draghi si poteva muovere.

Oggi la Francia è nel caos, la Germania è diretta a elezioni anticipate il 23 febbraio dall’esito incerto, alla Bce Christine Lagarde non ha mai conquistato la credibilità di Draghi.

Non siamo dunque in una situazione comparabile a quella del 2011-2012. Ma non possiamo neanche stare tranquilli. Anche perché un conto è arginare una crisi finanziaria innescata dalla Grecia, ma contenerne una causata dalla Francia sarebbe tutta un’altra storia.

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(Estratto dalla newsletter Appunti di Stefano Feltri)



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