In ordine alla legittimità della previsione nel contratto di mutuo di un piano di ammortamento secondo il metodo alla francese, si è espressa di recente la Corte Suprema di Cassazione[1], chiarendo che il metodo di ammortamento ‘alla francese’ «è caratterizzato dal fatto che il rimborso del capitale e degli interessi avviene secondo un piano che prevede il pagamento del debito a «rate costanti» comprensive di una quota capitale (crescente) e di una quota interessi (decrescente). Il mutuatario si obbliga a pagare rate di importo sempre identico composte dagli interessi, calcolati sin da subito sull’intero capitale erogato e via via sul capitale residuo, e da frazioni di capitale quantificate in misura pari alla differenza tra l’importo concordato della rata costante e l’ammontare della quota interessi. Il rimborso delle frazioni di capitale conglobate nella rata in scadenza produce l’abbattimento del capitale (debito) residuo e la riduzione del montante sul quale sono calcolati gli interessi (maturati nell’anno), determinando così la progressiva diminuzione della quota (della rata successiva) ascrivibile agli interessi e il corrispondente aumento della quota ascrivibile a capitale e così via». Richiesta da parte del Giudice remittente (con ordinanza di rinvio pregiudiziale degli atti, ai sensi dell’art. 363bis c.p.c.) di verificare se la maggior quota di interessi complessamente dovuti in presenza di ammortamento «alla francese» rispetto a quello «all’italiana» costituisse un prezzo ulteriore e occulto, che rendesse il tasso d’interesse effettivo maggiore di quello nominale (TAN) e del TAEG dichiarati nel contratto, il massimo consesso si è espresso osservando che «la differenza tra i due piani di ammortamento non dipende dal fatto che il tasso di interesse effettivo nel caso di ammortamento «alla francese» sia complessivamente maggiore di quello nominale, quanto piuttosto dall’essere tale effetto riconducibile alla scelta concordata del tempo e del modo del rimborso del capitale, in cui le rate iniziali prevedono interessi più elevati perché è più elevato il capitale (non ancora restituito) di cui il debitore ha beneficiato; detta differenza è, invero, ascrivibile alla circostanza che nell’ammortamento «all’italiana» si abbatte più velocemente il capitale (con pagamento di rate iniziali più alte) e, quindi, gli interessi che maturano sul capitale residuo inferiore sono inevitabilmente più bassi. Come si è detto, il maggior carico di interessi derivante dalla tipologia di ammortamento in questione non deriva da un fenomeno di moltiplicazione in senso tecnico degli interessi che non maturano su altri interessi e non si traduce in una maggiore voce di costo, prezzo o esborso da esplicitare nel contratto, non incidendo sul TAN e sul TAEG, ma costituisce il naturale effetto della scelta concordata di prevedere che il piano di rimborso si articoli nel pagamento di una rata costante (inizialmente calmierata) e non decrescente».
Per tali condivisibili considerazioni, deve, quindi, escludersi che l’ammortamento alla francese comporti l’applicazione di interessi in misura superiore a quelle prevista dal contratto (che, nel caso di specie, la parte attrice ha assunto essere anche superiore alla soglia prevista dalla normativa antiusura nel periodo di riferimento); come anche deve escludersi che implichi anatocismo, dato che gli interessi, nella misura convenuta, sono calcolati sulla quota capitale ancora dovuta e per il periodo di riferimento della rata, senza alcuna capitalizzazione degli interessi corrisposti nelle rate precedenti. Né, tantomeno, la previsione di tale forma di ammortamento è causa di indeterminabilità del costo del finanziamento, dato che, convenuti la somma mutuata, il tasso di interesse, la durata del prestito e la restituzione di esso in numero predefinito di rate costanti nell’entità e nella periodicità, la misura degli importi discende matematicamente dall’applicazione dei criteri pattuiti.
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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 29 maggio 2024, n. 15130.
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