Napoli, turismo come un’arma a doppio taglio

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Come sempre, grande sarà l’afflusso di turisti a Napoli nei prossimi giorni, anche per vedere i tradizionali fuochi d’artificio augurali per il nuovo anno e per sentire «i botti» e pure quest’anno c’è da aspettarsi, sperando il contrario, qualche incidente. Della diffusione e dell’invadenza di un turismo capace di modificare in profondità la vita di una città, del turismo malattia in espansione che vedrà grandi punte soprattutto a Roma per l’Anno Santo dei cattolici, risentirà anche Napoli – il suo centro e le località turistiche dei dintorni – che sono già normalmente prese d’assalto da nugoli di vacanzieri. A ridosso del nuovo anno, allarga il discorso e ci mette di fronte a una situazione pochissimo studiata, un combattivo saggio-inchiesta di Luca Rossomando edito da Carocci: L’impresa del bene. Terzo settore e turismo a Napoli, edito proprio a ridosso dell’arrivo del nuovo anno (pp.148, euro 17).

ROSSOMANDO è tra i fondatori e gli animatori di un giornale, Napoli monitor, pensato e fatto da un gruppo di giovani molto attivi e che, attraverso il loro giornale, studiano analizzano discutono l’operato dei «padroni della città» ma anche, alla base, le sue mutazioni sociali, le più evidenti come le meno. In un periodo in cui la ricerca sociologica langue (soprattutto in Italia) le loro inchieste sono preziose quanto le loro denunce. Rossomando ci parla delle maggiori imprese cittadine sul piano dell’intervento sociale, quelle dei più importanti enti del terzo settore, che a Napoli (e certamente in altre città) occupano degli spazi che dovrebbero competere alla politica governativa e locale, attraverso enti e organizzazioni di importanza crescente. E non sempre e non solo positiva.

L’INDICAZIONE di Napoli Monitor vale anche per altre città, per la nazione? Una buona inchiesta sociale dovrebbe rispondere alla domanda, analizzando senza prevenzioni, questa crescente presenza non solo a Napoli.
I grandi enti del Terzo Settore sono una realtà di cui tenere conto, al positivo ma anche nel loro sostituirsi (talvolta indirizzandoli) agli interventi istituzionali, politici. Si assiste insomma alla crescente forza di certi gruppi il cui scopo potrebbe rivelarsi più politico che non assistenziale o pedagogico. Quest’intervento non ha sempre i limiti e la chiarezza della passata vocazione del Terzo Settore, della sua storia e della sua ragion d’essere, e se esso si sostituisce alla politica per indirizzarne le scelte ciò avviene in un processo di crescita che, quando sostituisce il privato al pubblico, sembra farlo spesso non pensando al benessere comune ma per l’espansione di un privato che tende a condizionare il politico. Finendo per dar vita a nuove forze politiche in espansione.
Insistendo sul tema dello sviluppo e dell’organizzazione, partendo da una situazione degradata, si rischia – e succede, come il libro di Rossomando denuncia e dimostra – che il privato finisca per aumentare invece che ridurre i problemi dei suoi abitanti meno fortunati, le loro difficoltà. Il turismo è un’arma a doppio taglio, per esempio. E se arricchisce tanti, trasforma violentemente la vita e la cultura del vicolo.

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L’IMPERATIVO SOTTOSTANTE ai gruppi, ai più importanti, del terzo settore è di incidere sulla politica e sull’economia dei quartieri, contribuendo alla formazione di nuove forze economico-politiche che finiranno per condizionare – come già accade – la scelte dei politici. E non sempre per il bene della città. Se il terzo settore cresce, non sempre è per affermare nuovi soggetti della politica e una nuova gestione del territorio ma piuttosto un nuovo ceto decisionale che risponde, per l’ampliamento della sua azione, a interessi più economici che culturali, e la cui morale pubblica non sempre è davvero limpida…
Vale anche per altre città, tutto questo? Che il terzo settore abbia più spazio e potere può essere un bene, ma si dovrebbe stare assai attenti a non trasformarlo in un potere che si aggiunge a quello della politica e ricorrendo per affermarsi agli stessi mezzi di quella. È una trasformazione che pone nuovi problemi, che impone nuove analisi anche ai rappresentanti più del «terzo settore», della sua natura e dei suoi compiti. È dunque tempo, come si ricava dalla lettura di L’impresa del bene, di ridiscutere molte cose, tante. E per il terzo settore di ragionare sulla sua vocazione, sulle sue potenzialità e sui suoi limiti.



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