La prima fake news conosciuta dalla stampa contemporanea fu pubblicata dal quotidiano americano The New York Sun nel 1835. Lì venne riferito che un astronomo inglese aveva scoperto la vita sulla luna attraverso un telescopio, riuscendo a osservare uccelli, esseri umani e unicorni. La notizia ebbe un grande impatto negli Stati Uniti soprattutto grazie a due fattori: la comparsa delle macchine da stampa ad alta velocità, che favorirono la caduta del prezzo dei giornali, e l’arrivo di nuovi mezzi di trasporto – treni e navi a vapore – che per la prima volta nella storia potevano percorrere grandi distanze ad una velocità superiore a quella dei cavalli.
Quando la verità venne alla luce, diversi media avevano fatto eco alla “notizia del secolo”. La comparsa di queste “nuove tecnologie” quasi 200 anni fa ha contribuito a diffondere su larga scala informazioni false e sensazionali camuffate da notizie vere.
Lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione all’inizio del 21° secolo ha fatto sì che oggi circa il 67% della popolazione mondiale abbia accesso a Internet. Notizie false e clamorose note come disinformazione, oggi conosciute come fake news, si diffondono alla velocità della luce.
Politica, meteorologia e fake news
Nel novembre 2016 si è diffusa la notizia che l’allora presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, avrebbe offerto, attraverso la Trump Airlines, biglietti aerei gratuiti di sola andata per l’Africa e il Messico per coloro che volevano lasciare gli Stati Uniti, cosa che ha suscitato timori e indignazione. Solo su Facebook, queste notizie false hanno avuto più di 800 milioni di “mi piace”, “commenti”, “condivisioni” e “clic”.
La catastrofe provocata dalla DANA che ha devastato Valencia e altre località della Spagna alla fine di ottobre, con un bilancio di oltre 200 morti e innumerevoli perdite materiali e danni alle infrastrutture vitali di numerose urbanizzazioni, ha fatto passare le persone dalla paura e dall’incertezza all’ indignazione per la cattiva gestione del disastro.
Sono quasi 70 le fake news smentite finora in Spagna riguardanti la DANA. Ed è proprio quell’indignazione, l’emozione che funziona da blocco dei segnali d’allarme che, in situazioni normali, sono ciò che ci fanno riflettere sulla verità o meno del contenuto di una notizia.
Indignazione morale e disinformazione
Un team di ricercatori delle università Northwestern e Princeton negli Stati Uniti ha stabilito che l’indignazione non solo aumenta lo scambio di informazioni in generale, ma facilita anche una maggiore diffusione di notizie false, con l’obiettivo di rafforzare questioni come l’identità di gruppo, indipendentemente dall’impatto reputazionale che la diffusione di notizie false sulle reti può comportare.
Il lavoro, pubblicato sulla rivista Science, si basa su otto studi effettuati con i dati di Facebook e X (ex Twitter), in periodi diversi. Questi sono stati condotti contemporaneamente a due esperimenti comportamentali, al fine di conoscere meglio l’indignazione legata alla diffusione di informazioni false.
Sebbene studi precedenti avessero suggerito che la disinformazione fosse più associata alle emozioni che alle notizie vere, il collegamento principale riscontrato era con i sentimenti negativi. Il risultato principale di questa ricerca è che coloro che diffondono notizie false approfittano dell’indignazione degli americani per convinzioni profondamente radicate.
Secondo i ricercatori, la disinformazione, motivata politicamente o meno, provoca rabbia a un tasso significativamente più elevato rispetto alla vera disinformazione. Questo oltraggio morale può accecare le persone di fronte ai segnali d’allarme che normalmente le farebbero riflettere due volte prima di condividere contenuti senza verificarne la veridicità.
Vettori della disinformazione
Killian McLoughlin, ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia di Princeton, sottolinea che l’indignazione non solo aumenta lo scambio di informazioni in generale, ma facilita anche una maggiore diffusione di notizie false, rafforzando questioni come l’identità di gruppo.
Tutto questo, nonostante il costo reputazionale che la diffusione di notizie false su Internet può comportare. Per William Brady, professore di Management e Organizzazioni alla Northwestern e coautore dello studio, “quando la disinformazione provoca rabbia, è più probabile che le persone condividano il contenuto senza nemmeno leggerlo. È una reazione automatica che ci porta a dare priorità alle emozioni rispetto all’accuratezza, il che, in contesti come le notizie politiche, incoraggia ulteriormente la diffusione di notizie false”.
Questo sentimento è stato sfruttato da Internet Research, un’organizzazione russa che, generando disinformazione e discordia tra gli americani riguardo alle elezioni del 2016 e 2020, ha prodotto 9.026 link e 3.329 tweet da 1.656 utenti tra gennaio e luglio 2017, mentre tra agosto 2020 e febbraio 2021 questa organizzazione ha “creato” 192.108 collegamenti e 10.550 tweet da 5.236 utenti.
In alcuni collegamenti di Internet Research, gli immigrati sono stati descritti come parassiti, affermando che “circa 20 milioni vivevano illegalmente negli Stati Uniti e che era ora di sbarazzarsi di loro”. Lo studio ha inoltre scoperto che l’indignazione produce una partecipazione superiore alla media sui social network come Facebook e amplifica i contenuti con maggiore impatto.
Sebbene la disinformazione possa essere combattuta attraverso verifiche, etichette di contesto e avvertenze, è essenziale formare gli utenti affinché possano identificare le caratteristiche dei contenuti falsi… cosa che non sempre ferma la viralizzazione delle fake news.
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