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Taglio delle risorse: crisi per l’Università pubblica 

Taglio delle risorse – Il 29 novembre, in occasione dello sciopero generale indetto da CGIL e UIL, migliaia di ricercatori universitari hanno protestato contro le politiche del Governo Meloni, accusato di mettere a rischio il futuro delle Università pubbliche italiane. I principali obiettivi della mobilitazione riguardano il drastico taglio di 200 milioni di euro al fondo di finanziamento ordinario (FFO) per il 2024, un provvedimento che, secondo i manifestanti, compromettere l’intero sistema universitario.

Il fondo di finanziamento ordinario è l’elemento cruciale attraverso il quale lo Stato sostiene le Università pubbliche, destinando risorse per coprire le spese correnti e promuovere le attività didattiche e di ricerca. Il Ministero dell’Università e della Ricerca, che gestisce l’allocazione del fondo, distribuisce i fondi alle Università in base a criteri come la qualità della didattica e della ricerca, l’efficienza gestionale, il numero di studenti e la loro occupabilità. La riduzione di 200 milioni di euro, che arriva a seguito di una lunga serie di tagli che perdurano dal 2000, è considerata dai ricercatori come una mossa dannosa per il settore della ricerca scientifica di base, sempre più messa in difficoltà dalla crescente mancanza di fondi.

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Il FFO, che già oggi è insufficiente rispetto a quello destinato alle Università pubbliche in Paesi come Francia e Germania, rischia di ridurre ulteriormente le opportunità di ricerca autonoma e di compromettere la qualità della didattica. I critici della politica attuale accusano il Governo di favorire una visione miope della ricerca, finalizzata solo a rispondere agli interessi industriali, piuttosto che investire in quella ricerca pura che è stata alla base dei più grandi successi economici e tecnologici dei Paesi avanzati.

Uno degli aspetti più critici del taglio riguarda l’impatto sul personale accademico, soprattutto sui ricercatori. Il FFO è essenziale per garantire l’assunzione a tempo indeterminato di questi professionisti, mettendo fine alla loro condizione di precarietà. Ma, secondo i sindacati e le società scientifiche, la situazione sta peggiorando con il passare degli anni, non solo a causa dei tagli, ma anche a causa di un evidente sottodimensionamento delle risorse destinate ai docenti e al personale amministrativo, oltre alla riduzione delle politiche a favore del diritto allo studio.

In particolare, l’Università di Perugia è destinata a subire un taglio di circa 4 milioni di euro, con conseguenti effetti negativi sull’intera città. La situazione ha spinto l’Amministrazione comunale ad esprimere preoccupazione e chiedere un’iniziativa diretta contro la decisione del Governo. Le implicazioni di questi tagli non si limitano all’immediato danno economico: gli esperti temono un progressivo abbassamento del livello di scolarizzazione e l’ulteriore esodo di giovani ricercatori e studenti, che potrebbero essere costretti a cercare opportunità all’estero.

L’appello di 120 società scientifiche italiane, che hanno recentemente denunciato la grave carenza di fondi per gli atenei pubblici, è solo l’ultimo di una serie di manifestazioni che segnalano la crescente preoccupazione del settore. Secondo i ricercatori, la politica attuale rischia di spingere l’Italia verso un sistema educativo privato, dove la conoscenza e la ricerca sono sempre più subordinati agli interessi economici, ignorando i principi fondamentali dell’articolo 33 della Costituzione, che garantisce l’autonomia e l’indipendenza dell’Università.

In sintesi, i tagli al fondo di finanziamento ordinario non sono solo una questione di bilancio, ma di visione futura del Paese. La riduzione delle risorse destinate alla ricerca e all’istruzione universitaria, unita alla precarizzazione del personale accademico, rischia di compromettere la qualità del sistema universitario e di impedire all’Italia di restare competitiva in un contesto internazionale sempre più orientato alla ricerca e all’innovazione.

/da STEFANO VINTI umbrialeft

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