Gli eventi che si stanno verificando nella regione dell’Asia occidentale non erano né del tutto imminenti né completamente inattesi; piuttosto, queste trasformazioni sono emerse dall’intensificazione delle crisi e dalla perpetuazione dei flussi capitalistici per controllare e gestire le crisi di governance. Questa situazione è urgente perché accompagnata da pseudo-colpi di stato e accordi governativi, il che rende oscuro e indefinito l’orizzonte per la creazione di una società alternativa. Pertanto, è necessario discutere non tanto in termini di analisi rivoluzionaria, quanto piuttosto della natura “golpista” di queste trasformazioni, incluso il rovesciamento del regime di Assad.
Con la caduta del regime di Assad, Julani, leader di Hay’at Tahrir al-Sham, appare nei media con un’immagine diversa rispetto al passato, mostrando una sorta di europeismo con enfasi sul libero mercato. Coloro che conoscono il passato di questa organizzazione e dello stesso Julani trovano queste esibizioni mediatiche post-caduta del regime simili a un circo o a un film comico. Tuttavia, è importante notare che il cambiamento apparente di Julani e il ruolo diretto di Erdogan nelle decisioni politiche interne della Siria non rappresentano una trasformazione superficiale.
Osservando con attenzione, si possono notare somiglianze significative tra la posizione di Khamenei (leader dell’Iran) e il ruolo di Erdogan nella regione. Ad esempio, le colonizzazioni militari della Guardia Rivoluzionaria Iraniana in Siria sono, sotto molti aspetti, simili alle incursioni militari di Turchia e Israele nel territorio siriano.
Un’altra questione cruciale riguarda i nuovi blocchi e conflitti regionali. La Turchia sembra aver avviato un conflitto relativo con Israele; tuttavia, questo scontro, al momento, si limita principalmente a retoriche sulla supremazia. Ciò che è evidente è una lotta per il dominio e la stabilizzazione delle macchine-stato capitalistiche, che mantengono la loro egemonia attraverso guerre e colpi di stato e gestiscono le crisi in corso.
Tuttavia, questa lotta differisce dalle guerre imperialistiche tradizionali; in questa situazione, gli stati (ad esempio Turchia e Israele), nonostante i loro conflitti, perseguono una sorta di intreccio di interessi.
Un punto importante da sottolineare è che fino a pochi mesi fa questo conflitto era chiaramente tra l’Iran (Repubblica Islamica) e Israele (con i suoi alleati). Ora, la Turchia si è inserita gradualmente in questo scontro e, avvicinandosi alla caduta del regime di Assad, ha intensificato la sua presenza e il suo ruolo. Sembra che la Turchia stia cercando di utilizzare l’egemonia conquistata per infliggere un colpo decisivo al centro militare dei curdi democratici e del PKK nel cuore di Kobane.
Da un lato, la Repubblica Islamica ha perso una parte significativa dell’asse della resistenza e si sta muovendo rapidamente verso la militarizzazione nucleare; dall’altro, continua il suo scontro con Israele attraverso Ansar Allah in Yemen. Nel frattempo, una quantità significativa di missili viene scambiata tra Yemen e Israele. Tuttavia, la guerra non è limitata a questa geografia: all’interno dei confini dell’Iran, il conflitto assume una forma diversa e dimostra che la guerra contemporanea non ha un centro definito.
In Iran, questa guerra si svolge attraverso la globalizzazione finanziaria: il crollo del valore della moneta nazionale, il collasso dei mercati interni e l’aggravarsi della crisi dei mezzi di sussistenza hanno inflitto alla società uno shock profondo.
Accanto a queste crisi, il popolo iraniano vive in un ambiente infernale, sotto l’ombra delle minacce statunitensi, della possibilità di una guerra nucleare e dell’inquinamento di Teheran, dichiarata la città più inquinata del mondo, che causa ogni giorno la morte di numerose persone. Nel frattempo, il leader della Repubblica Islamica dell’Iran, invece di affrontare le crisi interne, continua a vantarsi di riconquistare la regione e di espandere il proprio potere militare.
Dall’altra parte, Julani, che ora svolge un ruolo diplomatico in Siria, viaggia da un Paese all’altro e mette in scena una rappresentazione politica che suggerisce che tutto sia sotto controllo. In realtà, però, gli eserciti di Turchia e Israele incombono come uno spettro sul futuro della Siria e sulle fazioni curde democratiche e la situazione è tutt’altro che tranquilla.
In tali circostanze, il risultato di questa situazione non sarà né la democrazia né la libertà; piuttosto, ciò che emergerà sarà una militarizzazione totale, il dominio del mercato globale e una forma di tirannia.
Seguendo Deleuze e Guattari, si può definire questa condizione caotica come una sorta di “esistenza politica schizofrenica”: stati schizofrenici con i loro eserciti, mercati schizofrenici, e, infine, un caos prodotto da questa condizione.
Come detto, gli eventi recenti sono pseudo-colpi di stato e strumenti di caos, la cui conseguenza è una profonda ostilità verso la libertà, la democrazia e le lotte orizzontali e collettive. Utilizzando il concetto di Maurice Blanchot, si può analizzare ulteriormente questa ostilità.
Maurice Blanchot, filosofo francese, offre una teoria profonda e influente sulla catastrofe. I dettagli della sua teoria superano lo scopo di questo testo, ma possiamo citare un punto centrale. Blanchot, nel suo libro La scrittura del disastro, afferma che la catastrofe è un quasi-evento e, in un certo senso, si oppone all’evento. Nella filosofia di Blanchot, l’evento non è necessario, ma una volta verificatosi diventa una necessità storica. Per esempio, eventi come “Donna, Vita, Libertà” in Iran, il maggio ‘68 in Francia, il movimento operaio in Italia, o la Primavera Araba in paesi come Egitto, Tunisia e Siria dividono la storia in un prima e un dopo. L’evento, come un fulmine, crea un’apertura storica per le lotte, la creazione e l’emergere di nuovi spazi-tempi; in breve, l’evento è sempre produttore di novità.
Tuttavia, la catastrofe, secondo Blanchot, sebbene simile all’evento, divide la storia in un prima e un dopo, ma non produce alcuna apertura né novità. Al contrario, restringe gli spazi e genera un abisso profondo per le lotte di liberazione. Pertanto, la situazione attuale della regione può essere descritta come una catastrofe totale: una catastrofe che, attraverso pseudo-colpi di stato e altre meccaniche di governance, attenua le crisi di governo e impedisce l’emergere di lotte reali.
Nel Medio Oriente di oggi assistiamo alla presenza di vari elementi apparentemente opposti nella politica, ma nessuno di essi conduce a lotte di liberazione. Questi elementi, nonostante le loro contraddizioni, agiscono in modo interconnesso per impedire l’emergere di eventi di liberazione.
Per questo motivo, il compito delle forze di sinistra e di liberazione è fissare lo sguardo sulla catastrofe, analizzarla a fondo e preparare il terreno politico per il verificarsi di un evento. Senza questa preparazione, gli eventi futuri potrebbero essere eclissati dalla potenza della catastrofe attuale. Perciò, già da oggi, è necessario creare le condizioni per la crescita e la formazione di lotte ed eventi di liberazione e continuare a resistere su questa strada.
Immagine di copertina di Mehrnews da wikimedia. “The moment Iran launched ballistic missiles towards Israel”
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