Il termine Levante, che deriva dalla parola francese lever, si riferisce alla regione orientale del Mediterraneo dove il Sole sorge ogni giorno. Viene comunemente usato per descrivere un’area che comprende Libano, Israele/Palestina, Siria, Turchia e Giordania. Stati che nel tempo hanno vissuto insieme periodi di fioriture sociali e culturali e poi periodi – apparentemente infiniti – di conflitti mortali. Di tanto in tanto, la regione esplode e scatena una reazione a catena che deflagra ben oltre i suoi confini.
In questi giorni siamo in mezzo a una di queste fasi, con la caduta del regime sanguinario degli Assad dopo una rapidissima avanzata dei ribelli siriani. La domanda, mentre Bashar e la sua famiglia sono fuggiti a Mosca, è se quello che si apre sarà un periodo di nuova speranza o l’inizio di una nuova fase di guerra. La maggior parte degli osservatori ritiene che gli ultimi eventi rappresentino una sconfitta strategica per gli alleati di Assad: Russia, Iran ed Hezbollah hanno combattuto per anni per mantenere Assad al potere e ora rischiano di perdere pezzi di potere fondamentali per i loro equilibri interni. La sconfitta del regime significa che la Siria potrebbe non essere più il corridoio di terra che è stata finora (passando per l’Iraq) fra l’Iran e gli Hezbollah, in un momento in cui il gruppo libanese è debolissimo, a causa dei ripetuti attacchi israeliani. E potrebbe anche non essere più il rifugio – con il suo porto di Tartus – di cui Mosca ha tanto bisogno per la sua flotta nel Mediterraneo.
I semi della sconfitta di Bashar arrivano da lontano. Potrebbero essere identificati nell’attacco di Hamas su Israele del 7 ottobre 2023, che ha rivoluzionato gli equilibri dell’area, scatenando la sanguinosa reazione israeliana su Gaza prima e i lanci di missili di Hezbollah e la guerra contro il Libano poi. O essere invece ricercati nell’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022: quando Putin ha scoperto che l’esercito russo non era in grado di entrare a Kiev in tre giorni e la resistenza ucraina lo ha bloccato, gli spazi per le sue avventure militari nel Mediterraneo si sono ridotti.
Per gli Stati Uniti, gli eventi in Siria sono complicati dal passaggio di poteri alla nuova Amministrazione Trump, che si insedierà tra sei settimane. Sia Biden che Trump hanno detto a più riprese di voler ridurre il coinvolgimento americano nella regione per concentrarsi sul pericolo rappresentato, ai loro occhi, dalla Cina. Ma resta il fatto che l’America ha ancora un migliaio di soldati nella Siria orientale per difendere gli alleati curdi dalla minaccia di una recrudescenza dell’Isis. E che il destino della Siria potrebbe riservare sorprese che la costringerebbero a tornare in forze nella regione.
In teoria, da questa crisi Donald Trump vorrebbe stare lontano: “Gli Stati Uniti non devono aver nulla a che fare, questa non è la nostra battaglia. Lasciate che si svolga, non fatevi coinvolgere!”, ha scritto sui social. Non ha parlato di come gestire la presenza di militari americani nell’area, né delle conseguenze che il cambio di regime potrebbe avere nella lotta all’Isis o dei rischi legati all’arsenale chimico che era in mano al regime siriano. Solo della sconfitta russa: “La Russia, impantanata in Ucraina dove ha perso 600.000 soldati, è stata incapace di fermare la marcia dei ribelli attraverso la Siria, un Paese che ha protetto per anni”, ha scritto. “Ora sarà costretta ad andarsene, come lo stesso Assad”.
Biden è stato più diretto. Pur salutando con favore la caduta del regime di Assad, ha avvertito: “Alcuni dei gruppi di ribelli hanno una storia di terrorismo e di violazioni dei diritti umani”. Poi ha aggiunto: “Abbiamo preso nota delle dichiarazioni dei loro leader: stanno dicendo le cose giuste. Ma quando si assumeranno responsabilità di governo, valuteremo le loro parole e le loro azioni”. Infine ha chiuso esprimendo la speranza che, fra i detenuti le cui celle si stanno spalancando in queste ore, ci sia Austin Tice, giornalista americano da anni scomparso in Siria. Una notizia che, se arrivasse davvero, farebbe dimenticare per qualche ora all’America l’ennesima guerra che rischia di bussare alla sua porta.
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