Dopo che i sette principali profili della legge Calderoli sono stati dichiarati incostituzionali si attende a giorni un nuovo pronunciamento della Cassazione che deciderà se ci sono le condizioni per il referendum
La Corte Costituzionale ha confermato, con una sentenza molto autorevole, emessa dal massimo organo di legittimità costituzionale, la tesi che da anni Left sostiene: la legge Calderoli è una attuazione “incostituzionale” della Costituzione. Essa è stata scientificamente colpita nelle fondamenta da una splendida sentenza. La Corte afferma, infatti, un tema decisivo: non possono essere trasferite alle regioni materie complessive , ma solo, ad alcune precise condizioni, singole funzioni. E, comunque, la Regione deve concorrere agli obiettivi di finanza pubblica. I diritti costituzionali devono essere, in ogni caso, assolutamente salvaguardati. Anche , quindi, nelle cosiddette “materie NON LEP “, vanno definiti i livelli essenziali.
La Consulta ribadisce, con nettezza, i principii costituzionali: unità della Repubblica e una promozione delle autonomie locali che non sia foriera di egoismo territoriale, divisivo e competitivo, ma di condivisione collaborativa. Non viene smentita solo la legge Calderoli ma l’intero percorso di contrattazione di “intese” tra governo e singole Regioni, la strada secessionistica, cioè, iniziata dal governo Gentiloni.
I sette principali profili della legge Calderoli sono stati dichiarati incostituzionali. Molto importante è anche l’altro asse ribadito da una sentenza rigorosa, di grande respiro, che va controcorrente rispetto alla prassi quotidiana oligarchica che il governo alimenta: la sentenza disegna il ruolo centrale del Parlamento, criticando aspramente una inedita architettura istituzionale che si regge oggi, contro il dettato costituzionale, sulla accentuata verticalizzazione del potere. La legge Calderoli, infatti, riduce le Camere ad organi consultivi o di mera ratifica. La Consulta restituisce al Parlamento un potere sostanziale. Sia nella determinazione dei Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP), sia per la stipula delle “intese” con le singole Regioni. Il ministro Calderoli sta, in questi giorni, procedendo ugualmente, con arroganza, nella contrattazione delle “intese”. Il suo comportamento è illegittimo. Cosa ne pensa il presidente del Consiglio? Si fermino! Non credano di essere al di sopra anche delle sentenze della Corte Costituzionale! Ritengo anche illegittimo e, per certi versi, grottesco che la cosiddetta Commissione Cassese continui ad operare, addirittura a marce forzate, come se il pronunciamento della Corte non vi fosse stato. Siamo, infatti, all’interrogativo centrale: cosa succede ora? Non ho dubbi sul fatto che il Parlamento debba intervenire con una nuova legge, radicalmente alternativa alla legge Calderoli, che non sta più in piedi. Non vi è più la sua ” piena funzionalità”. La maggioranza deve rinunciare alla “devoluzione”. Se pensa di insistere nel progetto, dovrà scrivere un’altra legge, costituzionalmente legittima e corretta. Sentiamo intenti arroganti, in questi giorni, soprattutto da parte della Lega. Ma anche il presidente della Commissione prima del Senato, esponente di rilievo di Fratelli d’Italia , afferma , con disinvolta ipocrisia, ” l’impianto generale della legge non è stato messo in discussione dagli specifici e puntuali aggiustamenti decisi dalla Consulta, perfettamente applicabili senza stravolgimenti”. Ha torto! Un’altra legge non deve solo correggere qualche “errore” ma ribaltare l’impianto complessivo: L’articolo116 terzo comma della Costituzione va delineato nel contesto della forma Stato, disegnata soprattutto negli articoli 2, 3, 5 della Costituzione. Occorre disegnare, cioè, per legge, un regionalismo “virtuoso”, una concezione solidale dell’autonomia. Il passaggio, indispensabile, alle Camere deve avere anche il significato di un rafforzamento della forma di governo parlamentare , di una decisionalità finalmente reale del Parlamento che sta diventando sempre più un mero orpello di un presidenzialismo plebiscitario di fatto, che si afferma nella prassi quotidiana della gestione del presidente del Consiglio. Tocca alle opposizioni parlamentari fare, ora, la propria parte, in maniera intransigente, con un aspro percorso di discussione e confronto anche in Parlamento, in dialettica con i territori, con la società. Sappiamo bene che vi è il rischio di un tentativo di mediocre mediazione per una Autonomia Differenziata che appaia meno ingiusta ed arrogante; ma, comunque, lesiva dei diritti costituzionali e del principio di eguaglianza. Non può esistere il ” meno peggio”, perché anche un secessionismo meno arrogante e iperliberista bloccherebbe il percorso necessario verso il “regionalismo solidale”. Mi rassicura il fatto che la Consulta continuerà a vigilare , come essa stessa scrive:” la Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione , qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale”. Spetta, in definitiva, a noi fare la nostra parte. L’iniziativa portata avanti da sei anni dai Comitati territoriali, la eccezionale raccolta delle firme per il referendum, il sindacalismo confederale e conflittuale , le grandi organizzazioni di massa hanno forgiato un diffuso, articolato, plurale popolo della Costituzione che si sta arricchendo, giorno dopo giorno, di collettivi studenteschi, ambientalisti, pacifisti. Forte è l’impatto del femminismo antipatriarcale ed anticapitalista. Abbiamo rotto, mi pare, la gabbia della marginalità. Per un regionalismo solidale e sociale.
L’autore: Giovanni Russo Spena è costituzionalista e politico
Il presidente Mattarella con quindici giudici della Corte costituzionale. Foto di Quirinale.it, Attribution, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=114752030
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