La chirurgia robot-assistita, un sistema computerizzato che trasmette istantaneamente il movimento delle mani alle braccia robotiche a cui vengono fissati i vari strumenti, è divenuta oggi una realtà nota in molti campi della chirurgia e mostra notevoli evidenze.
Nell’urologia, la robotica è stata applicata anche a interventi chirurgici più complessi, come la cistectomia radicale.
All’applicazione della metodica per la cistectomia radicale e quindi della asportazione della vescica, frontiera più estrema della chirurgia mini-invasiva in urologia, è dedicata la prima masterclass “On Robot-Assisted Radical Cystectomy And Neobladder”, in programma il 12 e il 13 dicembre presso l’Auditorium del Rettorato dell’Università Di Chieti, a cui partecipano esperti nazionali e internazionali, ai fini di fare il punto per la prima volta su benefici e miglioramenti della chirurgia robot-assistita in urologia. L’evento, organizzato in collaborazione con l’Università di Torino e i prof.ri Porpiglia, Fiori e Amparore, ha ricevuto il contributo di alcune aziende sponsor, fra le quali Toto Holding.
Popolazione numerosa. Tra le più frequenti patologie neoplastiche vi sono quelle dell’apparato urinario e genitale maschile. I tumori di interesse urologico non si limitano alla prostata, ma includono, fra i più frequenti, il rene, la vescica, i testicoli. Solo per il tumore vescicale, secondo i dati del Registro Tumori, in Italia nel 2023 sono stati stimati circa 29.700 nuovi casi. Ancora più alti sono i numeri che riguardano il tumore alla prostata: circa 41.100 sono state le nuove diagnosi stimate per il 2023.
Le nuove metodiche. L’introduzione dei robot chirurgici per il trattamento delle neoplasie urinarie che ha sostituito la metodica chirurgica a “cielo aperto”, mostra notevoli vantaggi per il paziente e per le strutture sanitarie. Fra questi, vi è l’abbattimento delle complicanze post intervento e della mortalità a 90 giorni. Si contano minori danni ai tessuti circostanti all’area oggetto dell’operazione e una conseguente riduzione del dolore. Per le cistectomie open sono necessari 10 giorni di ricovero mentre con la tecnica robotica le giornate sono ridotte a 5-7 con dimissioni più rapide e minori costi per il Servizio Sanitario Nazionale. Anche per la perdita di sangue, ci sono dei benefici: la tecnica tradizionale necessita di una sacca e mezzo di sangue mentre la maggior parte dei casi sottoposti alla robotica non viene trasfusa. Infine, la possibilità di operare fino a tre pazienti al giorno rispetto a uno.
“Il paziente beneficia sicuramente di un approccio mininvasivo, più sicuro, perché garantisce movimenti più fini, una visualizzazione ‘magnificata’ del campo operatorio e un tasso di sanguinamenti notevolmente ridotto”, afferma il Professor Luigi Schips, ordinario di Urologia e Direttore della Scuola di Specializzazione Urologia dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e Pescara, nonché neopresidente del Collegio degli Ordinari di Urologia. “L’effetto finale, misurabile anche dal paziente, è un più precoce ritorno alla vita attiva, grazie alle minori complicanze ed ai minori giorni di degenza”.
In termini organizzativi, vengono riscontrati anche dei vantaggi per la struttura sanitaria: “il più evidente e facilmente comprensibile – prosegue il professor Schips – è quello della riduzione dei giorni di degenza. Ma non limiterei i vantaggi alla struttura sanitaria. Chi ne guadagna è il “Sistema Paese”, la società in generale. Un paziente che torna alle proprie attività, con una propria autosufficienza, è un soggetto che richiede meno attenzione dai familiari, che torna produttivo e che in senso più generico svolge un ruolo attivo nelle proprie esperienze quotidiane. Di una chirurgia più efficiente, non solo per il trattamento del carcinoma vescicale, beneficiano direttamente ed indirettamente tutti”.
La cistectomia radicale, anche con approccio robot-assistito, deve essere eseguita in centri ad alto volume, dove sia possibile integrare competenze di più figure professionali. “I centri ad alto volume – sottolinea – offrono una garanzia di competenza maggiore che è fondamentale quando si affrontano le complicanze di questa chirurgia. Purtroppo nonostante l’utilizzo delle tecniche più avanzate, i tassi di complicanze, quando considerate nel loro complesso, superano ancora il 50%”.
A chi si rivolge. Grazie alle nuove tecniche anestesiologiche, all’approccio multidisciplinare dell’urologo con oncologo, geriatra, fisiatra e stomaterapisti, oggi tutti i pazienti sono eleggibili al trattamento robotico. “Ovviamente – precisa il professore –, sempre in ambito multidisciplinare, si valuta lo stato clinico del paziente, le sue comorbidità e lo stadio della malattia. In generale le indicazioni per la chirurgia robotica sono le stesse per la chirurgia open, ovvero pazienti con malattia muscolo-invasiva della vescica o refrattaria ai trattamenti conservativi”.
Ricostruzione vescicale. La ricostruzione della vescica viene oggi eseguita – in Italia, oggi traino a livello europeo, solo in determinati centri – utilizzando una parte dell’intestino del paziente che consente di eliminare l’uso del sacchetto per le urine. “Dopo che la vescica viene rimossa è sempre necessario proporre una derivazione urinaria. Solitamente queste ricostruzioni consistono nell’abboccamento degli ureteri, i “tubicini” che portano l’urina dai reni alla vescica, ad un tratto di intestino tenue e poi quest’ultimo alla cute, in quello che viene definito condotto ileale”, spiega Michele Marchioni, professore associato in Urologia dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e Pescara, dirigente medico presso l’Ospedale Clinicizzato “Ss. Annunziata” di Chieti.
“Tra le ricostruzioni che prevedono l’utilizzo dell’intestino esistono anche quelle che prevedono una riconfigurazione dello stesso a foggia di vescica. In questo caso l’abboccamento viene fatto con l’uretra natia, in modo da riprodurre un ciclo minzionale il più simile possibile a quello fisiologico, per quanto ci siano diverse controindicazioni all’utilizzo di tale tecnica. La principale consiste nell’incapacità o impossibilità da parte del paziente di attuare un adeguato piano riabilitativo nel post-operatorio per una corretta gestione di quello che è comunque un surrogato non identico all’organo originale. Il paziente deve quindi essere disposto a modulare le proprie aspettative rispetto alle possibilità di una tecnica che garantisce un’ottima qualità di vita in pazienti ben selezionati, ma che potrebbe scontentare pazienti con aspettative non congrue. L’invito è quindi sempre quello di valutare attentamente con il proprio urologo l’approccio più idoneo ad ogni singolo caso”.
Le tecniche oggi utilizzate sono sviluppate per minimizzare le complicanze e migliorare gli outcome funzionali. “Il vantaggio principale della neovescica – precisa Marchioni – , indipendentemente dalla tecnica utilizzata, è quello di evitare l’utilizzo dei sacchetti esterni per la raccolta dell’urina e il confezionamento di stomie sulla cute. Il beneficio è quindi quello di ridurre il malessere generato, anche a livello psicologico, dalla necessità di avere una stomia. È comunque fondamentale nel post-operatorio il ‘prendersi cura’ di questa nuova vescica e il momento della scelta resta cruciale. Pertanto affidarsi a professionisti seri rimane l’approccio migliore, in questa, come in qualsiasi patologia che richieda intervento medico”.
Sguardo al futuro. Il trapianto di vescica urinaria umana non è mai stato eseguito per via della complessa anatomia vascolare pelvica profonda, la visualizzazione intraoperatoria limitata e l’elevata complessità procedurale. Lo studio riportato su American urological association journal[1] a ottobre 2023, descrive la prima esperienza preclinica di autotrapianto della vescica in modelli vascolarizzati, compreso il recupero di allotrapianto di vescica vascolarizzata, la ricostruzione della parete posteriore e l’autotrapianto.
“La chirurgia robotica ha dei vantaggi relativi alla visualizzazione della vascolarizzazione. Nel contesto del trapianto di vescica, l’espianto viene fatto in maniera robotica perchè consente di risparmiare il più possibile le vascolarizzazioni collaterali e sicuramente di fare una raccolta del blocco vescicale, in modo tale che questo possa avere tutte le unità anatomiche da reimpiantare in maniera efficace nel ricevente”, spiega infine Giovanni Cacciamani, Professore associato di Urologia e Radiologia presso la University of Southern California, uno degli esperti internazionali che partecipano alla masterclass.
“Per quanto riguarda invece la ricezione della neovescica – prosegue il Professor Cacciamani –, la parte vascolare viene assicurata sempre grazie alla robotica che permette di mettere a punto la anastomosi vascolare in maniera efficace e valutare se ci sono travasi sanguigni durante le manovre finali dell’impianto. A questo si accompagna anche l’efficacia del firefly, una nuova tecnologia che permette di visualizzare la vascolarizzazione tramite una luminescenza, così da vedere immediatamente se la neovescica appena reimpiantata ha una effettiva vascolarizzazione oppure no”.
I prossimi passi. “Abbiamo già eseguito – conclude il Professore – le sperimentazioni su animale, cadavere, donatore e ricevente vivente in coma. Adesso ci stiamo spostando sulla donazione nel paziente, con una successiva valutazione clinica. La sperimentazione prevede che in questa fase non vengano utilizzati pazienti con malattie tumorali perché la terapia immunologica associata al trapianto di vescica potrebbe andare a inficiare sulla possibilità che questa neovescica possa essere non solo ricevuta, ma che di fatto possa avere in seguito un impatto negativo sul controllo oncologico. I pazienti con malattia oncologica sono quindi esclusi dal trial, sia dalla donazione che dalla ricezione”.
[1] https://www.auajournals.org/doi/10.1097/JU.0000000000003620
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